«Ci sono due Indie diverse. Nessuna delle due si preoccupa molto dell’altra. Qualche volta, però, entrano in collisione». Con questa scritta ha inizio Stolen, opera prima scritta e diretta da Karan Tejpal, invitato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra. Lo scontro, in questo caso, riguarda il rapimento di una neonata avvenuto di notte in una stazione ferroviaria tra distrazioni e complicità dei presenti. Protagonisti del racconto sono una giovane madre disperata che minaccia di suicidarsi e che poi trova la forza di reagire per mettersi alla ricerca della figlioletta scomparsa; due fratelli che hanno approcci opposti al tragico evento (uno estremamente empatico con la donna affranta dal dolore, l’altro disinteressato e sbrigativo nel volersi sottrarre a responsabilità e indagini).Povertà e ricchezza, differenze di classe e razzismo generano conflitti perpetui, pure là dove sarebbe più semplice donare un aiuto al prossimo.

E POI la polizia che tiene un atteggiamento ambiguo, tra il compassionevole e il brutale; i sospettati del crimine e, infine, la cosiddetta opinione pubblica che partecipa al fatto con quel superficiale senso di giustizia che, va aggiunto, pervade tristemente non solo l’India. Un film che attraverso queste differenti figure non può essere rigidamente collocato tra le opere di genere. Non esattamente un noir, nemmeno un poliziesco. Più un dramma sociale dal quale emergono i lati oscuri di una collettività multiforme. Povertà e ricchezza, differenze di classe e razzismo generano conflitti perpetui, pure là dove sarebbe più semplice donare un aiuto al prossimo.
Una vita è in gioco (e con essa altre centinaia di migliaia, riporta nella nota di regia Tejpal), eppure questo semplice fatto non è avvertito come urgente. Al contrario, si producono divisioni, sovrapposizioni di interessi, egoismi e violenze inaudite. Sin dalle prime scene, Stolen mostra lo sgretolamento delle relazioni, una continua e insensata lotta di tutti contro tutti.

DA QUESTO punto di vista, la storia esibisce una fragilità. La ferma e doverosa intenzione di denunciare la realtà circostante, sfocia talvolta in un esercizio didascalico. Contemporaneamente, ed è questo il merito del film, nel vagare dei due fratelli e della madre della neonata per le strade di una regione rurale indiana, che appare come un paesaggio lunare, e nel video virale che scatena un’intera folla accecata dalla propria ottusità, scorgiamo i fantasmi di un mondo frantumato in pezzi che difficilmente si potranno ricomporre di nuovo in una forma sensata.