La scuola cattolica ha origine dal romanzo omonimo di Edoardo Albinati (premio Strega 2015) in cui l’autore ripercorre attraverso la propria adolescenza in una scuola cattolica borghese e solo maschile di «bravi ragazzi» l’omicidio del Circeo, quando alcuni ex allievi stuprarono, torturarono due ragazze conosciute pochi giorni prima, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Donatella, morta nel 2005, sopravvisse a quella mattanza, venne ritrovata insieme al cadavere dell’amica nel bagagliaio della macchina di uno degli aguzzini. Andrea Ghira, Angelo Izzo, Gianni Guido, figli della Roma «bene», fascisti, legati all’estrema destra, protetti da un rete che ha permesso a Ghira di fuggire e rimanere latitante tutta la vita.

La vicenda è lunga, il processo si fa evidenza di come la violenza contro le donne in Italia sia culturale, sociale, istituzionale, e diviene anche il punto di partenza per una battaglia politica – lo stupro era considerato allora offesa alla morale e non alla persona – come affermerà la nuova legge nel 1996. Tutto questo però nel film di Stefano Mordini non c’è neppure come un fuoricampo. La sua «lettura» sposa quella tendenza molto attuale di rendere una vicenda storica «simbolica» di qualcosa di più generale, qui la questione di genere, la violenza sulle donne. C’è anche questo in ciò che accadde al Circeo, ma non solo: c’è la «morale» di un’Italia in un preciso momento storico. Mentre nel film la parola «fascisti» non viene mai pronunciata, si divaga sulle turbe dei ragazzi dovute a madri «leggere», a padri omosessuali. Elidere le responsabilità storiche di un’epoca, e con esse le lotte e le contraddizioni, è una scelta azzardata, specie se ci si rifugia nella facile stortura psicoanalitica, senza nessuna visione in prospettiva.