Oggi pomeriggio attorno alle 17,30 il Senato avrà approvato in prima lettura la riforma che introduce in Costituzione il principio dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, mentre alla stessa ora alla Camera riprenderanno le votazioni all’articolo 2 del ddl sull’autonomia differenziata, provvedimento che potrebbe essere approvato in via definitiva giovedì prossimo. Probabilmente la chiave di lettura politica complessiva più centrata di entrambe le riforme l’ha data il senatore del Pd Filippo Sensi, che giovedì scorso in dichiarazione di voto ha detto che il premierato è «un tentativo di cancellazione, una damnatio memoriae, un regolamento di conti con una Costituzione che non avete mai sentito vostra; una vendetta verso una Carta che viene da una storia che non riconoscete».

IL PREMIERATO ELETTIVO, una forma di presidenzialismo a tempo scaduto, è infatti l’aspetto più estraneo alla forma di Repubblica parlamentare prevista dalla Costituzione subito dopo la monarchia, a sua volta impedita dall’articolo 137 della Carta. A sua volta il ddl Calderoli, impropriamente definito di «autonomia differenziata» – dato che non devolve maggiore autonomia amministrativa bensì potestà legislativa alle Regioni – mette in discussione due pilastri della Costituzione scritta nel 1947 da tutti i partiti antifascisti: l’unitarietà della Repubblica e il fatto che essa ha il compito di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Infatti con questo provvedimento la Repubblica prende atto delle differenze territoriali, rinuncia a rimuoverle, e si accontenta di definire i Livelli essenziali di prestazione (Lep) dei servizi, lasciando che al Sud si offra «l’essenziale» e al Nord, grazie al residuo fiscale, prosperino le eccellenze, nella Sanità, nelle Università, ecc.

Le due riforme, insieme, cambiano sia la forma di Stato – da unitario a confederale – sia quella di governo, con una cesura che nelle intenzioni della presidente del Consiglio Giorgia Meloni è innanzi tutto culturale, come ha spiegato lei stessa nel discorso sulla fiducia in Senato il 26 ottobre 2022.

RISULTA PERTANTO relativamente pertinente segnalare le incongruenze del ddl Casellati, visto che il suo obiettivo è innanzi tutto politico; tuttavia risulta utile farlo perché aiuta a capire la nonchalance istituzionale del governo delle destre. Il Servizio studi del Senato aveva segnalato un paio di punti della riforma da «approfondire», uno più politico – il ruolo del voto degli italiani residenti all’estero – ed uno più tecnico – la verifica dei titoli del premier eletto per poter sedere come parlamentare alla Camera o al Senato. Ebbene, la maggioranza ha preferito non intervenire nemmeno sul secondo punto. Ai deputati – che sull’Autonomia differenziata non hanno potuto nemmeno presentare emendamenti – dovrà essere dato un “contentino”, l’illusione di poter incidere sul testo del premierato: questa tecnicalità potranno toccarla. Non potranno certo mettere mano ad altri punti lasciati inevasi, come le soglie e il ballottaggio, perché sono punti su cui i partiti di maggioranza sono ancora divisi e le decisioni spettano ai leader e non certo ai parlamentari.

A Montecitorio riprenderà invece il voto degli emendamenti sul ddl Calderoli. Su questo l’aggressione dei deputati di Lega e Fdi in Aula mercoledì scorso ha posto in secondo piano i tormenti di molti deputati meridionali di Forza Italia, a cui, tuttavia, venerdì scorso ha dato voce il presidente della regione Calabria Roberto Occhiuto. A preoccupare, ha spiegato è la devoluzione delle funzioni che non richiedono la definizione di Lep (per esempio quelle riguardanti scuola o sanità), che richiedono prima la definizione di tali Livelli. Il ddl Calderoli stabilisce che per tutte le funzioni che non richiedono la fissazione dei Lep (187 su circa 500) il trasferimento alle Regioni che le richiedono «con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie», potrà essere effettuato «dalla data di entrata in vigore della presente legge».

SE EFFETTIVAMENTE entro giovedì il testo verrà approvato senza modifiche e diverrà legge, appena pubblicata la riforma in Gazzetta, Calderoli potrà aprire le trattative con i presidenti del Veneto e della Lombardia, Zaia e Fontana, per trasformare l’Italia in uno Stato confederale.