La vertenza sui contratti si complica, perché la mossa del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, che ha definito «un capitolo chiuso» il tavolo per un nuovo modello, ha colto di sorpresa i sindacati. Ieri mattina la tensione tra le tre confederazioni era palpabile alla conferenza stampa di Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo nonostante i comprensibili tentativi di dissimulare. Nel pomeriggio un vertice a tre ha tentato di smussare le persistenti divisioni interne, partorendo una posizione unitaria, che però proprio a causa dei differenti punti di vista, appare arroccata sulla difensiva.

Ha così buon gioco, probabilmente con l’accordo delle stessa Confindustria, il governo, che potrebbe tentare la sua mossa: il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha spiegato infatti che «non si può aspettare in eterno» e che se i negoziati non si riavvieranno, sarà l’esecutivo a decidere per legge.

«Abbiamo bisogno di una contrattazione più vicina alle imprese, al territorio – ha detto Poletti – Più caricata dal punto di vista della produttività». Questo «è un tema tipico che riguarda le parti sociali: noi aspettiamo, ma non potremo aspettare in eterno». Secondo il ministro, «o le parti sociali troveranno il modo di far ripartire il confronto e produrre un’intesa oppure il governo si prenderà la propria responsabilità cercando di interpretare l’interesse generale del Paese».

Se poi questo annuncio si tradurrà nell’introduzione del “salario minimo”, che demolirebbe la contrattazione nazionale, è tutto da vedere, ma Poletti non lo esclude, e anzi lo agita come una spada di Damocle. Il governo «non ha esercitato la delega» prevista sul salario minimo «proprio per evitare di aprire un problema a fronte della volontà e della necessità che le parti trovino un’intesa», ha detto il ministro. L’esecutivo – ha concluso -intende lasciare «ancora una fase di riflessione», ma «se le parti non troveranno un’intesa, nel momento in cui si affronterà il tema dell’assetto della contrattazione, che riguarda anche la partecipazione e la rappresentanza, se sarà necessario intervenire lo si dovrà fare in maniera organica».

I tre sindacati hanno deciso unitariamente di dichiararsi pronti «alla riforma e ai rinnovi» dei tavoli già aperti. Specificando che il percorso dovrà essere parallelo, non essendo accettabili le moratorie già proposte in passato dalla Confindustria in attesa di definire un modello. Il vero problema, ovviamente, è che Squinzi non pare pronto a riaprire il confronto. E qui si sono consumate le tensioni e le divisioni tra Cgil, Cisl e Uil.

Annamaria Furlan è sembrata ottimista, a tratti anche troppo, o meglio si è appellata all’ottimismo della volontà: «Si riprenda a trattare, usando il buonsenso, altrimenti lo spazio che non occupiamo noi, lo prenderanno altri». Il governo, ovviamente. Ma la Cisl prima del vertice unitario è sembrata più disponibile a pazientare, appellandosi alla «responsabilità delle imprese». Questo ha fatto arrabbiare Susanna Camusso, che a microfono spento ha definito «comizio» il lungo intervento della collega. Unica concessione a Cgil e Uil, che invece sono apparse più scottate da Squinzi: «Dobbiamo rinnovare i contratti aperti». E poi l’iniziativa, tutta personale, di chiedere al governo di «detassare il salario di secondo livello».

Camusso, prima del vertice a tre, ha spiegato che invece la Cgil «non aspetta proposte da Confindustria, pur essendo sempre pronta al confronto: adesso prendiamo atto della posizione di Squinzi e ci esercitiamo sui tavoli aperti, puntando ai rinnovi».

La leader Cgil ha definito «nervosa» la Confindustria, e «straniante» la sua decisione, paragonando Squinzi «a quei bambini che portano via il pallone perché il gioco non va come piace a loro».

Un po’ più aperturista, a metà tra le due segretarie (quasi a mediare tra loro) Barbagallo della Uil: che se ha spiegato di «attendere un segnale dalla Confindustria», dall’altro lato ha aggiunto che «non si faranno sconti», perché «7 milioni di lavoratori aspettano il contratto, 3 milioni pubblici e 4 milioni privati». Come forse a prefigurare una protesta, chi può saperlo.

I tre sindacati, chiudendo unitariamente, hanno fatto capire di ritenere che Confindustria stia offrendo una sponda al governo per un eventuale colpo di mano: «Fanno come con l’assemblea del Colosseo – ha detto Barbagallo – Annunciata da giorni, d’improvviso è diventata un caso, e Franceschini aveva già il decreto pronto». E un’intesa vera, viste le divisioni anche sul merito del modello contrattuale, Cgil, Cisl e Uil dovranno trovarla sia se Squinzi deciderà di tornare al tavolo, sia se manterrà il pugno duro.