Da quando il periodico New Yorker ha rivelato che almeno 65 indipendentisti catalani e baschi (e alcuni avvocati) sono stati spiati attraverso lo spyware israeliano Pegasus, la maggioranza di governo spagnola naviga in acque molto agitate. La situazione è così ingarbugliata che il premier Sánchez ha deciso di posticipare un viaggio in Polonia e Moldavia per seguire direttamente gli sviluppi del Catalangate.

In ballo c’è l’approvazione, da parte del Congresso, del provvedimento da 6 miliardi diretto ad alleviare le conseguenze economiche della crisi ucraina. In cambio del sostegno al piano i partiti indipendentisti, dai quali dipende il raggiungimento del quorum, pretendono che l’esecutivo si assuma le sue responsabilità in merito all’hackeraggio di decine di cellulari, certificato dagli informatici del team canadese Citizen Lab.

Anche Podemos ha preso nettamente posizione contro lo spionaggio politico iniziato durante l’era Rajoy e continuato dal governo di cui i viola sono soci di minoranza e il Parlamento catalano ha approvato a larga maggioranza – con i voti degli indipendentisti ma anche dei socialisti e di En Comù Podem – la presentazione di una denuncia all’autorità giudiziaria.

Le formazioni indipendentiste e di sinistra catalane, basche e galiziane ritengono insufficiente l’offerta governativa di un «controllo interno» ai ranghi del Centro Nacional de Inteligencia (Cni) affiancato da un’indagine del Difensore del Popolo – l’ombudsman spagnolo – che però è un esponente del Psoe.

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«Se non si chiarisce al più presto, e in modo credibile, cosa è successo e chi sono i responsabili, non potremo più garantire il nostro appoggio» ha tuonato il presidente della Catalogna, Pere Aragonès, chiedendo la testa della ministra della Difesa, la socialista Margarita Robles, dalla quale dipendono i servizi. D’altro canto, dopo aver inizialmente negato ogni coinvolgimento degli apparati di sicurezza, Robles si è poi giustificata con la necessità di contrastare le spinte separatiste.

Nel frattempo, secondo El País, fonti anonime del Cni hanno ammesso di aver spiato alcuni dirigenti catalani ma grazie alle autorizzazioni concesse dalla magistratura allo scopo, come contemplato dalla legge, di «evitare le minacce all’integrità territoriale del paese».