Il commissario Cottarelli ha consegnato, la settimana scorsa, alla Presidenza del Consiglio un piano per risparmiare 7 mld di euro, alzando così il limite da 3,2 mld già stabilito nella Legge di Stabilità. Gli interventi prospettati sono in alcuni casi giusti, in altri casi ricalcano il solito cliché: troppa burocrazia, troppi sprechi e, alla fine, un eccesso di spesa pubblica che rallenterebbe la debole crescita economica.

Secondo il commissario incaricato da Renzi di affondare le forbici per far tornare i conti, sarebbe possibile risparmiare 500 mln riducendo gli stipendi dei manager pubblici, 800 mln dall’acquisto di beni e servizi, 400 mln dai costi della politica, chissà cosa ne pensa la democrazia, 1 mld dai trasferimenti alle imprese pubbliche, in sostanza trasporto pubblico locale su ferro e gomma. E Renzi ha dichiarato che le pensioni non saranno interessate dalla revisione della spesa, ma dalla tabella (il sole 24 di ieri) spicca il risparmio di 1,4 mld di euro.

Si tratta di un risparmio relativo a un contributo una tantum da parte delle pensioni e 200 mln per un allineamento dei contributi delle donne (da 41 a 42 anni). Le tanto criticate auto blu contribuiranno con 100 mln.

La relazione consegnata da Cottarelli non è, però, banale. Non tanto per la necessità di recuperare tra maggio e dicembre 4 mld di euro per la “presa per il cuneo” degli italiani, piuttosto per le implicazioni che la spending review richiama. Cottarelli sottolinea delle criticità tutt’altro che secondarie. Se rimangono gli obbiettivi di indebitamento pubblico, i risparmi saranno in gran parte destinati alla riduzione dell’indebitamento, non certo per lo scopo annunciato di riduzione delle tasse. Ovviamente Renzi può avvicinarsi alla fatidica soglia del 3% del Pil, ma i problemi non per questo svaniscono. Pochi lo sanno e per questo vale la pena ricordarlo, ma gran parte della spending review è già impegnata o ipotecata dalla legge di Stabilità e dal mancato taglio delle detrazioni fiscali, cioè 500 mln per il 2014, 10,4 mld per il 2015 e 14,8 mld per il 2016.

Se poi considerate che Cottarelli ha avviato una indagine sulla spesa sanitaria, la finalità è quella di conseguire un ulteriore risparmio di 300 mln, e si può facilmente capire quale sia il punto di caduta.
Sostanzialmente la spending review potrebbe togliere dalle tasche dei cittadini quanto la riduzione della pressione fiscale concede. Provate a immaginare cosa significa ridurre di 15 mld di euro le detrazioni fiscali. Altro che 1000 euro nelle tasche dei cittadini.

Come al solito si rinuncia a governare la spesa pubblica e le entrate pubbliche. Pensare al buon funzionamento della macchina pubblica costa fatica, ma lo sforzo principale dovrebbe essere quello di aggredire la formazione della spesa e di rimodulare quella che non favorisce la crescita economica, ricontrattando molte (troppe) opere inutili. Tra l’altro producono rendita, non certo reddito.

I metodi della programmazione del bilancio hanno visto lo sviluppo di diverse metodologie (“costi-benefici”, “bilancio a base zero”, ecc.), ma sempre con la finalità di governare la formazione della spesa pubblica, superando la logica del risparmio più o meno necessario. Solo in questo modo la scelta della composizione e della formazione della spesa diventa politica economica pubblica.