Un appello che in pochi giorni ha superato le 2.500 firme, un appello per salvare il rifugio per migranti che approdano a Briançon, splendida cittadina medioevale che sorge nelle Alpi francesi, appena al di là della fatidica Val di Susa. Lanciato dall’associazione Tous migrants, ha tra i primi firmatari Edgar Morin e Lilan Thuram: chiede che il rifugio continui a vivere, dato che la nuova municipalità da poco eletta, di destra, ha manifestato «poco entusiasmo» per tutto ciò che ruota intorno ai migranti della rotta alpina.

Pochi giorni fa, nel piccolo giardino del rifugio: una bambina pedala su un triciclo di plastica, mentre i suoi numerosi fratelli, poco più grandi, scorrazzano dietro a un pallone e si azzuffano per questioni legate all’eterno dilemma «è palo – gol, no è palo – fuori». Arriva una donna e dal bagagliaio dell’automobile scarica quattro sacchi di patate: un ragazzo le va incontro, si carica tutto sulle spalle e le porta dentro al rifugio, dove altre formichine depositano in qualche antro i tuberi che serviranno nel prossimo inverno.

Forse.

Tutto appare normale, nella sua tragica routine fatta di uomini, donne e bambini che partono dall’Italia, e una volta giunti al confine percorrono il «the game» del fronte occidentale: quello delle Alpi, dodici chilometri immersi in una foresta di larici e abeti, sempre di notte se si vuole passare, senza una cartina geografica, telefoni rigorosamente spenti, inseguiti dai gendarmi, in estate ma, molto più frequentemente, in inverno, quando l’ultimo termometro che lampeggia al confine tra Italia e Francia, a Claviere, dopo il segno meno pone una doppia cifra a piacere. Gendarmi che, ancora oggi, si incontrano facilmente nei boschi di queste montagne.

Eppure, tutto è cambiato qui, in Francia, nella cittadina in pietra che alcuni volevano candidare al Nobel per la pace, unico punto dove a chi fugge, migra, vaga, viene riconosciuto il diritto di tirare il fiato. Perché per chi non ha documenti, al di là del “premio” del «the game» alpino, in qualsiasi punto della Francia, è arresto ed espulsione.

Tra queste mura, di una ex caserma, che in inverno accolgono chi entra con una parata di stampelle e carrozzine – i fenomeni di assideramento e relativa cancrena sono frequenti – che ricordano delle decorazioni di guerra, anche nei momenti più duri mai è aleggiato lo spettro della paura. Certo arrivavano i fascisti francesi a fare manifestazioni, ma il supporto di un sindaco socialista, Gerard Fromm, cementava la solidarietà e conteneva le pulsioni di tutti coloro che come lupi si aggiravano intorno al rifugio.

Il biennio 2017-2019 è stato semplicemente folle: da qui l’Italia sembrava, e lo era, un paese ossesso, invasato di odio, di mala cultura del nemico. Poi il biennio dell’odio termina su una spiaggia della riviera romagnola e quassù, tra le montagne, i migranti che attraversano le Alpi diminuiscono. Il gigantesco fiume umano – questo confine è stato attraversato da dieci, dodicimila esseri umani – si contrae con l’arrivo della pandemia. Da questi boschi che si spogliano di uomini, donne e bambini – tantissimi bambini – l’Italia sembra tirare il fiato.

Lieto fine quindi, tutto risolto, l’inferno dei viventi sconfitto dai punti di paradiso, dai volontari italo francesi, i «benevoles»: definizione che riporta, stridendo, al libro di Jonathan Littel Le benevole.

Il ragazzo che scarica le patate dal baule alla mia domanda, «come va?», risponde con precisione geometrica: «Une merde». Scappato dall’Italia due anni fa, ha vagato per la Francia alla ricerca di un nuovo inizio: alla fine è tornato a Briançon perché «è l’unico posto dove si vive in pace per noi». E poi aggiunge: «È cambiato tutto».

Gerard Fromm, il sindaco della gauche, non è stato rieletto. Chi aiuta i migranti, muore. A Riace come a Briançon. Al suo posto, un uomo di destra, Arnaud Murgia che, come racconta il quotidiano Libération, durante la campagna elettorale promise di «redresser», raddrizzare, la sua città.

Infatti non ha perso tempo, rigettando il rinnovo della convenzione all’associazione che gestisce il «Refuge solidaires» e, di fatto, minando il cuore della rete italo francese che in tre anni ha salvato due Stati, quello italiano e quello francese, dall’onta di avere lasciato alla deriva nella neve migliaia di esseri umani.

Il neo sindaco ha comunicato che l’associazione «Refuge solidaires» dovrà liberare i locali al più tardi il 28 ottobre, ma non sarà un’operazione semplice perché la resistenza sta montando in maniera massiccia in Francia e non solo. Ad aggravare la situazione la ripresa, nelle ultime settimane, di un flusso migratorio consistente in arrivo dalla rotta balcanica, con diversi bambini presenti. E nei prossimi giorni, giungeranno le prime nevicate in quota.