Lo Scottish National Party ha vinto nettamente le elezioni dello scorso giovedì. Il partito della premier Nicola Sturgeon non ha però ottenuto i 65 seggi necessari a raggiungere la maggioranza assoluta. Ciò significa che, per governare, i nazionalisti dovranno cercare una sponda in altre forze politiche, e in particolare nei Verdi, schierati anch’essi per l’indipendenza.

Complessivamente, il fronte indipendentista ha quindi la maggioranza in parlamento e questo rende concreta la possibilità di svolgere un nuovo referendum nei prossimi cinque anni.

La composizione del parlamento di Edimburgo dopo il voto del 6 maggio non differisce significativamente da quella della scorsa legislatura. L’Snp ha aumentato di un’unità i suoi eletti, passando da 63 a 64 e fermandosi a un passo dal traguardo della maggioranza assoluta. Molta enfasi si è posta sull’elezione di Kaukab Stewart, prima donna nera a diventare parlamentare. Nessuna significativa minaccia all’Snp è venuta invece da Alba dell’ex Alex Salmond, che si è fermato al 1.7% del voto nazionale e non ha ottenuto alcun seggio. Pressoché invariati anche i seggi di conservatori (31), laburisti (22) e liberal-democratici (4), i tre partiti pro-Uk. Il leader dei laburisti scozzesi, Anas Sarwar, ha riconosciuto che non si tratta di un risultato entusiasmante, ma che la sezione scozzese del Labour ha tenuto meglio di quella inglese, cui ha consigliato di «intraprendere azioni immediate» per salvare la sinistra britannica dal declino.

Pur non avendo sfondato, potrebbero essere i Verdi a essere determinanti per il futuro della Scozia con i loro otto parlamentari. I Verdi scozzesi sono infatti schierati per l’indipendenza e si sono detti disponibili a formare con l’Snp un fronte unito per portare la nazione fuori dal Regno e nuovamente nell’Unione Europea. Sta qui il dato più rilevante di queste elezioni: il fronte indipendentista è nettamente prevalente in parlamento (72 seggi su 129). Lo ha sottolineato anche la premier Sturgeon, annunciando che l’Snp e i Verdi si impegnano a indire un secondo referendum entro la fine della legislatura, data la chiara «volontà della nazione».

Da parte sua, Boris Johnson ha definito «irresponsabile e avventata» l’istanza dei nazionalisti ed è chiaro che considererà ogni possibile opzione legale per scongiurare un nuovo referendum nei prossimi anni. Negli accordi sullo statuto della Scozia all’interno del Regno Unito, non è chiaro infatti se i parlamentari scozzesi possano indire un referendum senza il consenso di quello britannico. Sul referendum del 2014 c’era stato un accordo con il governo britannico allora presieduto da David Cameron. Un accordo sembra invece improbabile oggi, con Johnson che potrebbe anzi portare davanti alla Corte Suprema un’eventuale decisione presa in autonomia a Edimburgo. Per Sturgeon, questa sarebbe una scelta inaccettabile che dimostrerebbe «il rifiuto del voto democratico degli scozzesi» da parte del governo britannico.

Il fronte indipendentista si prepara dunque a una nuova battaglia, ma celebra intanto uno dei migliori risultati della sua storia. La narrazione trionfalistica, tuttavia, nasconde il dato più evidente emerso da queste elezioni: la Scozia è ancora un paese diviso sul riconoscimento delle istituzioni che lo governano. Queste divisioni non riemergono solo quando i cittadini sono chiamati alle urne, ma segnano nel profondo l’identità nazionale e molti aspetti della sua vita culturale – dalla religione fino al tifo sportivo – sebbene non sfocino in conflitti come quelli visti anche di recente nell’Irlanda del Nord.

La politica scozzese, da quando il processo di devolution è iniziato sul finire degli anni Novanta, sembra non essere stata in grado di risolverle.
Eppure, un’interpretazione dialettica che veda il conflitto fra due fazioni come l’elemento determinante della vita socioculturale e politica della nazione sarebbe riduzionistica: di fatto, a prevalere sembra essere il partito degli incerti, che non crede che la Scozia abbia bisogno dello Uk per sussistere, ma che si rende conto dell’impatto che l’indipendenza avrebbe sull’economia scozzese, pur vedendo in essa un’opportunità per tornare a far parte dell’Ue. In questo senso, l’esito di un eventuale referendum è ancora del tutto imprevedibile.