Editoriale

Sinodo, una lezione di maestria politica

Sinodo, una lezione di maestria politicaBergoglio

Chiesa Se si può certamente dire che lo sguardo sul mondo contemporaneo non si nasconde quello che succede, pure non si possono tacere le durezze rimaste

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 25 ottobre 2015

Discernimento, cioè procedere caso per caso, detto in parole semplici. Con questa parola-guida la Relatio finale del Sinodo 2015 riesce a navigare tra posizioni spesso lontanissime, e per questo è stata votata, anche nei punti più controversi, da più dei due terzi dell’assemblea. Cioè a essere approvata in tutte le sue parti, cosa che non era successo nel sinodo straordinario del 2014.

Si potrebbe parlare di un compromesso straordinario, di una miracolosa quadratura del cerchio, visti «i metodi non del tutto benevoli», come ha detto papa Francesco nel discorso conclusivo, dopo le votazioni, con cui si sono espresse le opinioni diverse. Non so se compromesso è la parola più adatta. Di certo una lezione di maestria politica, applicata al terreno più proprio alla Chiesa, quello delle immagini, del simbolico.

Che cosa è infatti il discernimento se non una virtù esercitata da una mente ben coltivata, ben addestrata, come è di un gesuita che è stato educato negli esercizi messi a punto da Ignazio di Loyola? Lo ha ricordato con qualche malizia, facendo esplicito riferimento al gesuita papa Francesco, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn nel briefing mattutino di ieri. Discernere vuol dire, in questo documento che i padri sinodali offrono al papa perché ne ricavi un suo indirizzo, che una volta stabiliti i principi, bisogna guardare le situazioni. Come dice il paragrafo 85 della Relatio, il meno votato, ha avuto solo 178 voti favorevoli e 80 contrari, essendo la maggioranza qualificata necessaria di 177, su 265 votanti. «I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo»: chiedono i vescovi. Insomma, secondo uno schema a cui papa Francesco ci ha abituato, e che la Chiesa nel suo insieme sembra intenzionata ad adottare, è la realtà che impone un ripensamento, che invita a valutare situazione per situazione.

E se si può certamente dire che la cura della realtà fa bene, che lo sguardo sul mondo contemporaneo non si nasconde quello che succede e che, come hanno ripetuto in queste tre settimane i padri sinodali, «incontrarsi e ascoltarsi è stata un’esperienza che ci ha cambiato», pure non si possono tacere le durezze rimaste.

Non penso all’atteggiamento verso l’omosessualità in quanto tale, che in effetti non viene affrontata, se non nella descrizione della vita familiare, e dell’accoglienza e del rispetto alle persone. Penso ad alcune affermazioni contenute nella prima parte della Relatio, che non sono state cambiate. Per esempio la «crescita della mentalità contraccettiva e abortista», oppure «una certa visione del femminismo, che denuncia la maternità come un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione». Ma il punto che mantiene tutta la sua carica aggressiva, non equilibrata da nessuna elemento di realtà, o ricorso al «foro interiore», è il tema «ideologia del gender, che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna». Una posizione che continuerà a fomentare paure, angosce e vere e proprie aggressioni. Stupisce, in un testo che si incardina sulla meravigliosa virtù della comprensione e della misericordia, il perpetuarsi di una costruzione fantasmatica.

C’è da pensare che il compromesso, che introduce vere aperture nella pratica pastorale e sicuramente sarà di conforto per molti credenti, abbia bisogno di mantenere distinzioni dalla “mondanita” contemporanea. Un esempio di scarso discernimento.

 

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