L’appello del sindacalismo di base a una giornata di sciopero “contro la guerra, l’economia di guerra, il governo della guerra” è stato raccolto da migliaia di manifestanti che, da un capo all’altro della penisola, hanno dato vita a presidi e cortei, in alcuni casi molto partecipati. Come a Milano, dove la manifestazione aperta da uno striscione con il volto di Mario Draghi con l’elmetto e la scritta: “Fuori dalla guerra, aumentare salari e spese sociali” ha sfilato a lungo nelle vie centrali della città, chiudendo il suo percorso di fronte alla sede di Assolombarda. Oppure a Cagliari, dove un corposo corteo è partito dal comando militare di via Torino per arrivare al porto, sulla scia delle contestazioni alla mega esercitazione militare “Mare Aperto”, che fino alla fine del mese interesserà ben 17 località sulla costa meridionale dell’isola.

Nel complesso sono state 21 le iniziative di piazza promosse dall’arcipelago del sindacalismo di base, dai Cobas all’Usb, dalla Cub all’Usi e alla Sgb, con l’adesione dei partiti della sinistra di alternativa, da Rifondazione comunista a Potere al popolo fino al Partito comunista dei lavoratori. Tutti concordi nel ritenere, come peraltro evidenziato anche dall’ultimo, recentissimo rapporto di Oxfam (“DisuguItalia: ridare valore, potere e dignità al lavoro”), che nel paese persiste una situazione drammatica nel mondo del lavoro. In ulteriore deterioramento, dopo i ripetuti choc economici legati alla crisi del 2008, a causa prima della pandemia e poi della guerra.

In un quadro segnato da una precarietà diffusa, da sacche sempre più ampie di vero e proprio sfruttamento, e da salari che in molti settori produttivi sono rimasti quelli di inizio secolo, la protesta si è diretta contro quello stato permanente di emergenza nel quale da anni è stato proiettato il paese. “Questo sciopero è contro la guerra e contro l’economia di guerra – ha osservato nel corteo milanese Walter Montagnoli, segretario generale della Cub – dopo due anni di pandemia vediamo gli operai nelle fabbriche che hanno paura del futuro, e di pagare ancora una volta il prezzo dell’ennesima crisi che sta già colpendo pesantemente i lavoratori e i ceti popolari. In una situazione come questa serve un’economia orientata al sociale e non alle spese militari, come ha capito quel 70% di italiani che nei sondaggi si dichiara contro il riarmo”.

Concetti analoghi nella manifestazione di Cagliari: “Mentre cresce l’allarme per la guerra in Ucraina – denunciano i Cobas – la Sardegna viene utilizzata militarmente con l’esercitazione ‘Mare Aperto’, che quest’anno ha modalità ben più debordanti rispetto al passato. Una esercitazione che non solo priva la popolazione della fruizione del territorio, sacrificando l’economia dell’isola e aggravando l’inquinamento militare, ma espone la Sardegna come base Nato in esercitazioni collegate alla guerra”.

Dalle piazze è salita con forza la richiesta di bloccare gli investimenti miliardari in armamenti già programmati dal “governo dei migliori”, dirottandoli in favore di provvedimenti sociali per il lavoro, la scuola e la sanità pubblica. “Abbassate le armi e alzate i salari”, uno degli slogan più gettonati. Contestata in parallelo la mossa dell’esecutivo Draghi di elargire ai lavoratori 200 euro una tantum (“una cifra ridicola”), scalfendo appena gli extraprofitti delle aziende che lucrano sugli aumenti, e non utilizzando il gettito extra dell’Iva prodotto dai rincari per irrobustire le reti di protezione per le fasce più deboli della popolazione.

Le adesioni allo sciopero non sono state quantificate se non in alcuni casi come quello del personale Atac del trasporto pubblico a Roma, dove l’agitazione ha interessato poco più del 20% degli addetti. A Milano invece è stata gradualmente sospesa la linea M3 della metropolitana, e ci sono stati ritardi nella circolazione degli altri mezzi pubblici.