Bankitalia attacca la manovra su tutta la linea: tetto per l’obbligo di accettare il pagamento Pos, tetto per il contante, Flat Tax. Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario e alter ego della premier, replica con una controffensiva pacata nei toni ma in realtà molto dura, anzi inaudita, accusando via Nazionale di fare solo l’interesse delle banche private: «Queste critiche non mi sorprendono. Bankitalia è partecipata da banche private. La Bce, al contrario, ritiene che non si possa obbligare ad avere una moneta privata perché riconosce solo le monete nazionali, dunque l’euro. Lo Stato non può imporre uno strumento privato di transazione e vendite in perdita».

L’attacco del sottosegretario non piace affatto a palazzo Koch , tanto che le «fonti» di palazzo Chigi devono affrettarsi a precisare che Fazzolari «non ha mai messo in discussione l’autonomia di Bankitalia e ribadisce anzi pieno apprezzamento per l’operato di via Nazionale». Nella sostanza però le stesse fonti conformano che quella di Bankitalia è una «legittima» posizione «a sostegno della moneta elettronica, che è privata» ma altrettanto legittima è la scelta del governo di «non escludere il contante che al momento è l’unica moneta legale».

Lo scontro innalza ulteriormente una tensione già resa alta dai guai del Pnrr. Non c’è da stupirsi se la premier insiste per due giorni consecutivi sulla nota dolente. Domenica aveva chiarito che il suo governo non riuscirà a realizzare i 55 obiettivi dai quali dipende l’accesso alla nuova tranche di fondi europei entro il 31 dicembre. Responsabilità del governo Draghi, anche se Giorgia la Draghina fa il possibile per evitare i toni bellici verso i quali vorrebbero spingerla alcuni ministri. Nessuna polemica ma è un fatto che «dei 55 obiettivi a noi ne sono stati lasciati 30». Non ha torto: i ritardi erano effettivamente noti da ben prima delle elezioni.

I guai non si fermano qui. Il Pnrr infatti, anche incassando regolarmente tutte le tranche, non basta: «È evidente a tutti che il Next Generation Eu non è più sufficiente perché non poteva considerare l’impatto della guerra. Bisogna che la Ue faccia di più», scandisce la premier in collegamento con il Festival delle Regioni di Milano. Non è più adeguato il Ngeu e non lo è nemmeno il suo tronco italiano, il Pnrr: «Anche sugli interventi previsti dovremo valutare le priorità perché il costo delle materie prime mette a serio rischio la realizzazione di quegli interventi». Insomma gli obiettivi 2022 del Piano, di chiunque sia la colpa, non saranno centrati in tempo: starà alla Ue decidere come reagire. Sulle realizzazioni concrete del 2023 si può dire con certezza che, senza una revisione profonda del Pnrr a cui l’Europa si oppone, il saldo sarà di nuovo in rosso. Comunque il Piano non basterà a fronteggiare la crisi e la solita Europa dovrebbe decidersi a intervenire come ai tempi del Covid, con mosse drastiche ed eccezionali.

Il quadro delineato dalla stessa premier illustra con dovizia di particolari perché in questo momento un’impennata della tensione con Bruxelles e Francoforte sia quanto di più sconsigliabile per il governo italiano. Per questo la premier allude a un possibile parziale retromarcia su uno dei capitoli che più irritano l’Unione: il rialzo del tetto per l’obbligo di accettare il pagamento Pos che contrasta l’impostazione di fondo decisa da Bruxelles. L’affondo spietato di Bankitalia complica ulteriormente la situazione.

La modifica del tetto Pos quasi certamente arriverà: dovrebbe scendere sino a 40 euro. Porte invece blindate sulla richiesta di proroga del Superbonus: «Non lo proroghiamo. Il problema non è il termine ma sono i crediti di imposta e stiamo cercando di trovare una soluzione». È una porta sbattuta in faccia a Fi, una delle cui richieste principali, con l’aumento delle pensioni minime sino a 600 euro, era proprio la proroga del Superbonus. Ma quella della premier è una scelta obbligata: con la situazione del Pnrr così pericolante, con il verdetto della Ue sui ritardi del Piano che pende come una mannaia, con un braccio di ferro con Bankitalia in atto, di spendere più del previsto, almeno per il momento e ancora a lungo, proprio non se ne può parlare.