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Malumori, mal di pancia, perplessità, annunci, come quello di Google o Apple, di assunzioni di musulmani originari dei paesi messi al bando dal presidente Donald Trump. Alla fine, gran parte delle imprese dell’alta tecnologia hanno rotto gli indugi e sottoscritto un documento nel quale esprimono il loro appoggio alle iniziative giuridiche volte a annullare le misure del presidente Usa. A firmarlo 97 imprese, tra le quali Apple, Microsoft, Intel, Netgear, Dropbox, Google, Mozilla, Facebook, Twitter, Linkedin, Foursquare, Reddit, Pinterest, Snap, Meetup, Kickstarter, Indiegogo, Airbnb, Flipboard, Gopro, la società di servizi finanziari Square, la Wikimedia Foundation (quella di Wikipedia), Spotify e Netflix.

CHE TRA SILICON VALLEY e Trump non corresse buon sangue era un fatto noto. Donald Trump ha infatti puntato l’indice contro i colossi della Rete , perché ritenuti agit prop dei democratici, incorrendo però in una prima contraddizione: il neopresidente americano ha subito messo in chiaro che Twitter è il mezzo da lui scelto per garantire la comunicazione diretta, cioè non mediata dai mass-media (anch’essi denunciati come strumenti nelle mani dei liberal) con il popolo, rompendo così la convenzione che vedeva i presidenti rendere pubblico il loro punto di vista usando vie istituzionali e i media mainstream.

L’HIGH-TECH NON È AMATO da Trump perché ha beneficiato di venti anni di globalizzazione decentrando il suo processo produttivo là dove il costo del lavoro è più basso e dove il sindacato è parola sconosciuta. Ma non è certo questo ultimo aspetto che trova Trump indignato. Il presidente Usa considera Silicon Valley colpevole di far produrre i suoi manufatti al fuori dai confini nazionali, togliendo così lavoro alla working class americana. Che la diversità di punti di vista e di interessi economici emergesse era dunque solo questione di tempo.

Il problema è se le mosse di Trump siano da considerare un o stop ai processi di interdipendenza dell’economia mondiale. In questo caso, il cosiddetto «capitalismo delle piattaforme» è un modello di business che mal tollera i vecchi confini nazionali. Ne definisce semmai altri, al limite più feroci, visto che la globalizzazione non è certo un pranzo di gala: bassi salari, assenza di diritti sociali e feroci guerre commerciali (talvolta guerre guerreggiate) sono i suoi ingredienti. Con questo documento, Facebook, Apple, Amazon mandano a dire che hanno bisogno di libertà di movimento dei capitali e di merci, anche se immateriali, come lo sono i contenuti (dati, informazioni, conoscenza). Il discorso protezionista di Trump è, con buona pace di tutti i populisti, una camicia di forza per la produzione di ricchezza. Il documento di ieri un tassello di un conflitto sociale e di classe dalle geografie opache che viene condotto secondo i dettami delle cruente «guerre culturali» combattute negli Usa.

IL BANDO DEI PAESI musulmani è stato presentato come una misura per la sicurezza nazionale. Per molte imprese significa l’impossibilità di fare a meno della conoscenza e delle competenze di lavoro vivo qualificato, ma non born in Usa che si è laureato nelle università della Ivy League americana o che si è formato proprio in questi paesi banditi che hanno però modernizzato le loro università. Certo non nella maggioranze dei college a stelle e strisce considerati dagli stessi americani inadatti a fornire una preparazione adeguata per la «rivoluzione del silicio».