Editoriale

Siamo ai tempi supplementari

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Il 22 aprile abbiamo celebrato (si fa per dire) la Giornata mondiale della Terra. Qualcuno se n’è accorto? Faceva giustamente rilevare Federico Rampini su la Repubblica (martedi 22) che sebbene […]

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 24 aprile 2014

Il 22 aprile abbiamo celebrato (si fa per dire) la Giornata mondiale della Terra. Qualcuno se n’è accorto? Faceva giustamente rilevare Federico Rampini su la Repubblica (martedi 22) che sebbene la lotta al cambiamento climatico non faccia progressi, nessun governo se ne preoccupa più di tanto mentre l’opinione pubblica è stanca di sentir gridare al lupo al lupo…. Essa si chiede se poi saranno realmente fondati questi allarmismi e in ogni caso: cosa possiamo farci?
Nel 1972, l’università di Boston, il Massachusetts Institute of Technology, lanciò il primo grido d’allarme sulla esauribilità delle risorse. Quindici anni dopo, il “Rapporto Brundtland” spostò l’attenzione dalla finitezza delle risorse all’equilibrio della biosfera e coniò il termine (ora abusato) di “sviluppo sostenibile”. Nel 1992 ci fu la prima Conferenza Internazionale a Rio de Janeiro e da allora si sono svolte molte Conference of the Parties (Cop), ma quanto a risultati, quasi niente si è riusciti ad ottenere. Recentemente un gran numero di scienziati ci ha ammonito che ci rimangono solo 16 anni per correggere la rotta che, altrimenti, ci porterebbe a quel famigerato innalzamento di oltre due gradi della temperatura media sul livello degli oceani: risultato incompatibile con la sopravvivenza della specie umana e di molte altre specie viventi. Nel 1996 Giovanni Franzoni pubblicò un piccolo libro che poi era una Lettera aperta per un Giubileo possibile. Il titolo era: “Farete riposare la Terra”.
Ma niente è stato fatto perché la terra si sia potuta riposare. Quello che più sorprende è la miopia generale sulla questione. C’è, nonostante i tentativi intrapresi appaiano effimeri, una fede incrollabile nella mitologia della tecnica ritenuta in grado di portarci fuori dal destino segnato. In realtà la tecnica riesce spesso a risolvere alcuni problemi emergenti, con il risultato collaterale e indesiderato di causarne dei nuovi, spesso peggiori di quelli curati. Dall’uso di un mitico combustibile come l’idrogeno (che non esiste in natura ma dovrebbe essere prodotto) all’ultima tecnica arrivata dello shalegas (estrazione di petrolio dalle argille con sistematica distruzione di interi territori) non si prende sul serio la gravità del problema, cercando piuttosto di aggirare l’ostacolo. Perché la questione ambientale è in realtà la vera parte oscura dello sviluppo e della nostra civiltà. Per contrastarla, anzi solo per affrontarla, ci vorrebbe, come ha detto Carlo Petrini, una vera rivoluzione delle coscienze.
Per cercare di non celebrare stancamente questa “Giornata della Terra”, vorrei qui ricordare alcuni ammonimenti di Gregory Bateson (scienziato molto amato dal sempre caro Marcello Cini) che sono ancora d’attualità. Questa strana figura di scienziato-antiscienziato, biologo, epistemologo, filosofo, cibernetico sosteneva, parafrasando i versi della Bibbia, che il dio ecologico non può essere beffato. Come a dire che nell’ecologia non esistono scorciatoie e, al contrario di quanto accade nella politica, le furbizie e le tattiche non si rilevano efficaci. Bateson, in proposito, ricordava la poesia del Vecchio Marinaio di Coleridge. Alcuni marinai di una nave uccidono un albatros che è un animale sacro. La leggendo racconta che la nave viene colpita di conseguenza da una sventura. Tutti i marinai muoiono, tranne uno: il vecchio marinaio che è costretto a vagare per sempre sulla nave che non conosce approdi con l’animale morto sul collo. Un giorno il marinaio diventato ormai vecchio vede due creature marine che fanno l’amore e si commuove. Questo sentirsi in armonia con la natura interrompe la maledizione: l’albatros morto cade dal suo collo e il marinaio può tornare alla sua vita.
Un secondo ammonimento di Bateson affermava che: la creatura che la spunta contro l’ambiente distrugge se stessa. Quella della lotta alla natura, del suo possesso, della sua manipolazione, mitologie moderne nate con la Rivoluzione scientifica del Seicento, non sarà mai una lotta vincente. Ricordava Edgar Morin che gli esseri umani sono al 100% natura e al 100% cultura. Questo “errore matematico” in realtà dimostra come, nonostante tutto, le nostre pretese di dominio non ci collocano al di fuori della natura. Siamo nati su questa terra, ne facciamo parte, siamo parte di essa. E’ ancora il messaggio di Sartre quando incitava a non rimuovere il riferimento alla comune matrice biologica: «Non siamo esseri completi. Siamo degli esseri che si dibattono per stabilire rapporti umani e per arrivare a una definizione dell’uomo. E’ una lotta che durerà a lungo».
C’è infine un terzo ammonimento di Bateson. Sostiene che viviamo in una casa di vetro e chi vive in una casa di vetro deve stare attento a non tirare sassi. Anche questo suggerimento è di incredibile attualità. In questi giorni a Courmayeur gli abitanti e le persone di passaggio scrutano ogni giorno una montagna che sta franando. Gli esperti ci spiegano il perché di questo disastro che invece tutti conosciamo bene, al di là dei suoi aspetti tecnici. Sembra una metafora della nostra precaria condizione di abitanti del pianeta, ospiti non sempre graditi, e comunque mal sopportati quando pretendiamo di essere i proprietari della casa, di oikos. Il mito di Ulisse, sempre spinto verso tentativi continui di superare i limiti, muore nel momento in cui l’eroe si spinge oltre le Colonne d’Ercole; muore quel mito insieme a quella cultura intesa come dominio della natura. Noi, celebrando questa Giornata, dovremmo invece ricordare l’Ulisse che rifiutò il dono dell’eternità che gli offerse Calypso.

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