La neve è finita, più o meno ovunque: a darne conferma, uno studio scientifico internazionale pubblicato a metà marzo dalla rivista Plos One. Il titolo «Global reduction of snow cover in ski areas under climate change» chiama in causa direttamente gli effetti del cambiamento climatico, che si annunciano disastrosi anche per le aree sciistiche, con previsioni di nevicate sempre meno frequenti e conseguenti risvolti economici ed ecologici.

COSÌ , MENTRE IN ITALIA GLI OPERATORI degli impianti di risalita cercano di programmare un neolinguaggio, parlando di «neve programmata» e non più di «neve artificiale», in una sorta di negazionismo semantico, il mondo scientifico sbatte in faccia la realtà: la neve, quella reale, cadrà sempre meno sulle montagne.

I RISULTATI DEI MODELLI che hanno previsto l’andamento dei giorni di innevamento naturale in base a tre diversi scenari di cambiamento climatico (rispettivamente basse emissioni, alte emissioni e altissime emissioni di CO2) suggeriscono una significativa diminuzione della copertura nevosa in tutte le aree sciistiche globali, che passeranno da una media di 216 giorni di innevamento in passato a 141 giorni di innevamento in uno scenario ad alte emissioni, con una riduzione particolarmente rapida nelle aree a bassa quota. La ricerca prevede, inoltre, che i giorni di innevamento annuale in tutte le principali regioni sciistiche diminuiranno drasticamente a causa dei cambiamenti climatici, con un’area sciistica su 8 che perderà del tutto il manto innevato naturale nel corso del secolo, in scenari di emissioni elevate.

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RICERCA. NONOSTANTE L’IMPORTANZA sociale, economica ed ecologica dell’industria sciistica, esistono poche ricerche su come la distribuzione delle aree sciistiche sia influenzata dai cambiamenti climatici a livello globale. Quelli condotti finora riguardavano una piccola scala concentrati su Europa, Nord America e Australia. A tal proposito, i ricercatori coordinati da Veronika Mitterwallner, del Bayreuth Center of Ecology and Environmental Research (BayCeer) e del Bayreuth Center of Sport Science (BaySpo), dell’University di Bayreuth, in Germania, hanno esaminato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla copertura nevosa naturale annuale in sette grandi regioni sciistiche: Alpi europee, Ande, Appalachi, Alpi australiane, Alpi giapponesi, Alpi meridionali, situate in Nuova Zelanda, e Montagne Rocciose.

I RICERCATORI HANNO PRIMA IDENTIFICATO le località sciistiche specifiche all’interno di queste sette regioni, utilizzando OpenStreetMap. Le Alpi europee, il più grande mercato sciistico globale, rappresentano il 69% di queste aree. I ricercatori hanno anche usato il database climatico pubblico Chelsa, che ha permesso di prevedere i giorni di copertura nevosa annuale per ogni area sciistica, per i periodi compresi tra il 2011 e il 2040, tra il 2041 e il 2070 e tra il 2071 e il 2100, in base a scenari di emissioni basse, alte e molto alte.

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SECONDO LO SCENARIO AD ALTE EMISSIONI, le stime rivelano che il 13% delle aree sciistiche perderà tutta la copertura nevosa naturale ne periodo compreso tra il 2071 e il 2100, rispetto ai valori di riferimento storici. Il 20% perderà più della metà dei giorni di innevamento all’anno. Entro il 2071-2100, si prevede che i giorni medi di innevamento annuo diminuiranno maggiormente nelle Alpi australiane, con una percentuale del 78%; seguono le Alpi meridionali con il 51%, le Alpi giapponesi con il 50%, le Ande con il 43%, le Alpi europee con il 42% e infine gli Appalachi, con una riduzione del 37%. Una riduzione minore è prevista nelle Montagne Rocciose, che subiranno il calo minore, pari al 23% rispetto ai valori storici di riferimento.

ECOSISTEMI A RISCHIO. I ricercatori ritengono che la diminuzione della copertura nevosa potrebbe spingere le stazioni sciistiche a spostarsi o a espandersi in aree meno popolate, minacciando potenzialmente le piante e gli animali alpini, già messi a dura prova dal clima. Questi «potenziali spostamenti spaziali della distribuzione delle aree sciistiche» sostengono gli autori «possono essere una minaccia per gli ecosistemi di alta quota», minacciare i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali e la biodiversità.

SI TRATTA, NÉ PIÙ NÉ MENO, di un ulteriore prezzo da pagare, senza considerare che la questione neve dovrebbe ormai esser trattata più dal punto di vista delle «riserva idrica», lasciando lo sport in secondo piano. Anche perché, evidenzia la ricerca, per i resort che privilegiano la neve finta e si affidano a pratiche di innevamento tecnico «questa misura è limitata dalla disponibilità di risorse di acqua dolce e dalla temperatura ed è costosa a causa dell’elevato consumo di energia». Insomma, è l’industria dello sci che dovrebbe ripensarsi.

FOCUS SCI IN EUROPA. Una ricerca, pubblicata su Nature Climate Change lo scorso agosto, condotta da un gruppo di ricerca guidato da Hugues François, dell’Università di Grenoble, ha previsto il rischio, per ben 2.234 impianti sciistici europei, di scarsità di neve, basandosi sulle ipotesi di un aumento della temperatura media globale di 2 e 4 gradi. Prendendo in esame lo scenario peggiore, un riscaldamento di 4 gradi, i ricercatori hanno stimato che il 98% delle località sciistiche si troverebbe ad affrontare un rischio molto elevato, per la disponibilità di neve naturale.

GIÀ OGGI IL 90% DELLE PISTE DA SCI IN ITALIA, il 70% in Austria, il 53% in Svizzera, il 37% in Francia e il 25% in Germania sono innevate utilizzando cannoni da neve, secondo i dati diffusi nel 2021 dall’associazione svizzera dei gestori di impianti di risalita, Seilbahnen.

MA LA NEVE ARTIFICIALE NON È UNA SOLUZIONE miracolosa: anche nel caso in cui riuscissero a coprire in media il 50% delle piste con neve finta, il 71% delle stazioni sciistiche si troverebbe comunque a fare i conti una scarsa disponibilità di neve, nel caso di un aumento della temperatura globale di 4 gradi.