«Gli arabi vanno alle urne a frotte». È vivo il ricordo del grido di allarme lanciato da Benyamin Netanyahu nel giorno delle legislative del 2015 per esortare gli elettori ebrei a recarsi ai seggi elettorali a contrastare quelli che il premier e leader della destra ha sempre considerato il «pericolo interno di Israele»: quasi due milioni di palestinesi con cittadinanza israeliana. Ora, all’improvviso, con il voto anticipato tra due mesi, il primo ministro scopre di volere bene, proprio tanto, anche agli arabi. Se c’è la normalizzazione con gli Stati arabi «allora normalizziamo anche qui in Israele, diamo inizio a una nuova era» va ripetendo Netanyahu. E visitando mercoledì Nazareth – dopo le sortite a Umm el Fahem e Tira dei giorni scorsi -, la principale città palestinese in Israele guidata dal sindaco Ali Salam, uno degli esponenti arabi che più assecondano la sua iniziativa, si è in parte scusato per le frasi del 2015. «Non volevo mettere in guardia sul fatto che i cittadini arabi stavano votando. Ogni cittadino di Israele, arabo o ebreo, deve votare» ha sdrammatizzato Netanyahu, aggiungendo di aver solo rimarcato il pericolo di un voto a favore della Lista unita araba, sua nemica dichiarata. Ben pochi devono avergli creduto. Il sindaco Salam a questo punto è intervenuto e quasi giurando ha assicurato che il premier parlava «con il cuore…perché è giunto il momento di credere a queste parole e che possiamo davvero vivere fianco a fianco». E ha esortato la Lista unita a smetterla e a «lavorare per il bene degli arabi in Israele».

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Subito è scattata la reazione alle parole di Salam e Netanyahu delle centinaia di persone riunite davanti all’edificio sede dell’incontro. Sono cominciati scontri tra la polizia e i manifestanti. I deputati arabi Heba Yazbak, Mtanes Shehadeh e Aida Touma-Sliman sono stati bloccati e portati via dagli agenti. Un’altra parlamentare Sondos Saleh è finita all’ospedale. Almeno 19 gli arrestati. «Abbiamo assistito a un miserabile tentativo di raccogliere voti da un pubblico contro il quale Netanyahu ha incitato per anni. Ma la nostra comunità vede in lui una minaccia per gli arabi, non un partner», ha commentato Touma-Sliman. Il premier ha replicato che «Le proteste dei deputati della Lista unita sono un segno di disperazione…Anche loro vedono il crescente sostegno per me e (il mio partito) il Likud nella comunità araba. Ti unisci al Likud perché vuoi entrare a far parte della società».

Davvero il Likud apre all’uguaglianza politica e sociale tra tutti i cittadini di Israele? Stando al comunicato diffuso ieri su Twitter non si direbbe. Il partito di Netanyahu esclude categoricamente di potersi alleare con qualsiasi formazione araba inclusi gli islamisti del deputato Mansour Abbas che, indebolendo la Lista unita ha avviato un intenso dialogo con il primo ministro per risolvere, sostiene, «il problema della criminalità e degli omicidi nella minoranza araba». Amira Hass ieri su Haaretz scriveva che Netanyahu, con la consueta abilità politica, sta semplicemente incitando, i «buoni arabi» incarnati da Ali Salam contro «i cattivi arabi» della Lista unita.

Oltre a colpire la Lista Unita, Netanyahu cerca di assicurare al Likud migliaia di voti arabi in più rispetto agli 11mila ottenuti nelle elezioni dello scorso anno. Per compensare in parte la probabile emorragia di consensi causata dalla recente scissione interna guidata dal suo rivale, Gideon Saar, che ha fondato un nuovo partito di destra in crescita nei sondaggi. «Non ci riuscirà» dice al manifesto Wadie Awawdeh, giornalista residente in Galilea «la nostra gente non è ingenua, sa che Netanyahu non garantisce parità e partecipazione anche agli arabi, promette solo un po’ di regali a quel politico o a quell’amministratore locale, per raccattare un po’ di voti. Poi dopo le elezioni sparirà».

Di vero comunque c’è la crisi della Lista unita, che sta per spaccarsi in due tronconi. I sondaggi segnalano che i partiti arabi il 23 marzo perderanno 5 dei 15 seggi conseguiti appena dieci mesi fa quando la Lista emerse come la vera forza di opposizione a Netanyahu e come riferimento anche per decine di migliaia di ebrei israeliani. «Le differenze ideologiche e di linea politica delle sue quattro componenti sono il tallone di Achille della Lista» spiega Awawdeh «comunisti e islamisti, ad esempio, viaggiano in direzioni opposte, hanno idee diverse della società, quasi inconciliabili. Il collante del fronte comune contro Netanyahu e la destra non è forte abbastanza».