C’è un fazzoletto di territorio britannico di circa sei chilometri quadrati per cui non vale l’accordo di più di 1.200 pagine fra Unione europea e Regno unito raggiunto faticosamente la notte di Natale.

Si tratta di Gibilterra, tecnicamente un «territorio britannico d’oltremare» (per la Spagna, invece, una vera e propria colonia), in mano alla corona britannica dal 1713, in virtù del Trattato di Utrecht che concluse l’ultradecennale guerra di successione spagnola (che, fra le altre cose, portò sul trono i Borbone e aprì un lungo conflitto con la Catalogna).

Il tema gibilterrino è da sempre argomento preferito dei ministri degli esteri di tutti i colori a Madrid e l’imminente entrata in vigore definitiva della Brexit ha riportato al centro dell’attenzione questo conflitto secolare.

Per Gibilterra l’accordo siglato questa settimana dai Ventisette non vale e il governo spagnolo e quello inglese stanno negoziando un accordo bilaterale per evitare che fra due giorni Gibilterra sia «l’unico posto dove si applicherà una Brexit dura», come ha minacciato lunedì la ministra degli esteri spagnola Arancha González Laya. In Irlanda del nord, infatti, la soluzione prevista dall’accordo prevede una frontiera «morbida», fissata tra Unione e Regno unito nel Mare d’Irlanda.

Oltre al bastone, la cancelliera iberica ha agitato anche la carota: la Spagna è favorevole a un accordo che preveda la massima mobilità e favorisca «uno spazio di prosperità condivisa» ed è disponibile a negoziare «fino all’ultimo secondo del 2020». Ma senza accordo, i 5mila gibilterrini e i 10mila andalusi che attraversano ogni giorno la frontiera possono iniziare a preparare i passaporti.

Non sono per ora trapelati i dettagli dei negoziati (il che è un buon segno) e l’unico dato certo è che Madrid ha ottenuto che i lavoratori transfrontalieri spagnoli vengano iscritti in un registro e possano attraversare quotidianamente la frontiera in maniera fluida. La zona attorno al Peñón gibilterrino è una fra le più povere di tutta l’Andalusia: per migliaia di persone il lavoro nell’enclave britannica è un’ancora di salvezza.

Ieri il Consiglio dei ministri spagnolo ha approvato una serie di misure per adattare l’accordo fra la Ue e il Regno unito in materia di diritto del lavoro, accesso all’università e sussidi per la disoccupazione. Ma una delle questioni chiave è quella dei controlli aeroportuali.

Gibilterra ne costruì uno durante la guerra civile spagnola alla fine degli anni trenta in una parte del territorio che peraltro la Spagna considera «occupato illegalmente» (il trattato prevedeva di cedere solo «la città e i castelli di Gibilterra, assieme al suo porto, le difese e le fortezze», non il territorio circostante): se però l’Inghilterra è fuori da Schengen, Gibilterra ha firmato l’accordo di libera circolazione, ma non essendo uno Stato, non può effettuare i controlli.

Uno dei nodi è chi effettuerà questi controlli e a chi dovranno rispondere gli agenti. Esistono «una serie di risposte tecniche per arbitrare la mobilità che sono state esplorate e messe sulla tavola», ha spiegato la ministra González Laya. Ora tocca alla politica.