Al loro arrivo al Muro del Pianto le Donne del Muro (Women of the Wall) hanno trovato ad attenderle un migliaio di ebrei ortodossi giunti sul posto per sbarrare loro la strada. Per l’inizio del mese ebraico di Kislev le attiviste di questo movimento ebraico (riformato) che chiede la parità dei sessi nella celebrazione dei riti religiosi tra uomini e donne, intendevano introdurre nel settore destinato alle donne rotoli della Torah, per poi leggerne un brano ad alta voce. Invece sono state allontanate con la violenza dagli ortodossi decisi ad affermare che le donne ebree non celebreranno riti come gli uomini. Non è la prima volta che le Donne del Muro subiscono queste aggressioni. E non sarà l’ultima, perché nonostante la glorificazione in atto del «governo del cambiamento» di Naftali Bennett, per le donne che chiedono l’eguaglianza nella religione le cose non sono destinate a cambiare. Lo stesso premier Bennett è un (ultra)nazionalista che fa capo all’ebraismo ortodosso.

La glorificazione del governo in carica, senza Benyamin Netanyahu alla sua guida, si è fatta più intensa ieri. Dopo quello relativo al 2021, la Knesset ha approvato anche il bilancio statale per il prossimo anno del valore di 183 miliardi di dollari. Il voto – 61 favorevoli contro 59 contrari – assicura a Israele una finanziaria per la prima volta da tre anni a questa parte. «Abbiamo riportato Israele in carreggiata» ha twittato soddisfatto Bennett. Simili i commenti del suo principale alleato, Yair Lapid, che secondo l’accordo di governo diventerà primo ministro nel 2023. Sempre ammesso che la maggioranza duri tutta la legislatura. Ad indebolirla sono le differenze ideologiche dei partiti che la compongono e il fermento nelle forze di destra per la presenza nella coalizione della formazione islamista Raam che con i suoi quattro seggi assicura la sopravvivenza della maggioranza. Le polemiche non lasceranno a lungo in vita il governo. Lo stesso premier la scorsa settimana ha fatto capire che Yair Lapid non diventerà premier nel 2023.

In queste ore i media e gli analisti esaltano il successo del primo ministro che avrebbe di fatto segnato la fine dell’era di Netanyahu. Il voto, per molti, conferma che l’ex premier, figura divisiva anche nella destra, teneva in stallo la politica israeliana e bloccava il funzionamento dello Stato. Per risolvere i suoi guai con la giustizia, aggiungono, Netanyahu aveva scelto di essere dipendente dall’appoggio dei partiti religiosi ortodossi e avrebbe frenato riforme importanti. Un anno fa decise di non approvare la legge di bilancio per impedire a Benny Gantz di diventare primo ministro. Ma l’eredità di Netanyahu è ampia e duratura. Come i governi guidati dall’ex premier, anche quello «del cambiamento» non ha nulla da proporre ai palestinesi sotto occupazione e chiusi dentro Gaza e nei cantoni cisgiordani. Ieri un ragazzino palestinese di 13 anni, Mohamad Da’das, è stato ucciso durante proteste a Deir Al Hatab da un colpo al petto sparato da soldati israeliani.