«Se si pensa che tagliando lo stato sociale si risolvono i problemi economici si sbaglia: si taglia infatti una ricchezza inestimabile di servizi di qualità. Per questo gli economisti più attenti inseriscono il valore del welfare nel computo del Pil di un paese». Parola di Ione Bartoli, anni 82, prima assessora ai servizi sociali della Regione Emilia Romagna dal 1970 al 1980. La frase è contenuta nella premessa che la Bartoli ha fatto al suo recente libro, «La mela sbucciata. Quando la politica è fatta anche con il cuore».

Un testo che ripercorre la rivoluzione del welfare che fece l’Emilia Romagna dopo che vennero istituite le Regioni. Un percorso che in parte era stato già preparato dalle esperienze più avanzate dei Comuni come Reggio Emilia, Bologna e Forlì. A Reggio la prima scuola dell’infanzia comunale apre nel 1963; Bologna istituisce i primi nidi comunali nel 1969, due anni prima del varo della legge 1044; a Forlì tra il 1970 e il 1975 aprono otto asili nido e 12 scuole comunali per l’infanzia.

Un libro che ha ancora più senso leggere in questo momento di aspro confronto referendario sotto le due Torri. Il referendum consultivo del prossimo 26 maggio chiederà ai bolognesi se vogliono confermare o meno il milione e passa euro che vengono erogati ogni anni alle scuole dell’infanzia private. Ieri il sindaco Virginio Merola è entrato, ancora di più se possibile, nella contesa. Spiegando in un’intervista al Corriere di Bologna che dal voto potrebbe «ripartire la riscossa civile e politica del Pd». Insomma: visto che le prese di posizione di Bagnasco prima e del ministro ciellino Lupi poi hanno proiettato la consultazione in una dimensione nazionale Merola fa altrettanto e ritrae chi vuole abolire i fondi alle scuole private come un «estremista conservatore».

Il libro dell’ex assessore Bartoli, reggiana di origine, è un modo per capire da dove viene la peculiarità emiliano romagnola nei servizi all’infanzia. All’interno de «La mela sbucciata» non si parla solo di asili e scuole dell’infanzia ma molte pagine sono dedicate alla coraggiosa stagione nella quale gli enti locali, battendosi per la loro autonomia, hanno avviato i servizi per la fascia di bambini in età zero/sei. Così si scopre che a Reggio Emilia i tentativi di aprire scuole materne comunali vengono ostacolati fin dal 1947 dalle giunte provinciali amministrative, residui dell’epoca fascista che consideravano le spese per le scuole materne facoltative, non obbligatorie. Addirittura la sola forma di intervento ammessa era la contribuzione annua del Comune a tutti gli asili privati operanti sul territorio.

Loretta Giaroni che fu assessore a Reggio Emilia racconta in un intervento nel libro della Bartoli che nel 1963 l’allora assessore Franco Boiardi che lavorava in una giunta Psi-Pci affermò che «era un obbligo morale e istituzionale dell’amministrazione porre rimedio all’assenza di asili comunali». Inizia l’epoca della direzione pedagogica affidata a Loris Malaguzzi e della creazione del modello Reggio.

Il libro di Ione Bartoli è stato presentato alcune settimane fa a Bologna. La sala era piena di ex amministratrici locali ed ex collaboratrici dell’assessora. Praticamente tutte donne perché, come scrive, «i servizi sociali venivano considerati di competenza quasi esclusivamente femminile come una forma di accudimento materno allargato. L’eterno maschilismo dei politici italiani». Lei, minuta ma con una grande forza nella voce, ha avvisato tutti che quello non era un momento nostalgico ma vorrebbe che il suo libro servisse agli amministratori di oggi. «I compromessi sono inevitabili in politica – scrive nel libro – ma ho sempre rifiutato quei compromessi che andavano contro i miei principi etici o ledevano il mio ruolo istituzionale».

E così ricorda quella volta che venne invitata da Comunione e Liberazione a parlare proprio di scuole dell’infanzia: «Non credo che siate qui a chiedermi soldi perché vi umilierebbe anche se i contributi che la regione assegna voi li ritenete insufficienti. Credo che la cosa più importante è che ci confrontiamo sui valori culturali di cui siamo portatori».