Dipende tutto dal punto di vista. Se si guarda all’incontro di ieri tra Giuseppe Conte e il presidente libico al Serraj cercando segnali positivi sul piano del conflitto in Libia, il risultato è inesistente. Se invece si guarda a quelle tre ore di faccia a faccia considerando l’immagine dell’Italia nel mondo, l’incontro è stato di per sé un successo. Non sufficiente a cancellare del tutto la disastrosa figuraccia del mancato incontro con Serraj di pochi giorni fa ma capace almeno di limitare il danno. Una specie di «meeting riparatore», insomma, che ha in buona misura centrato l’obiettivo, restituendo all’Italia parte della credibilità perduta dopo quel flop diplomatico. Non è solo questione di non perdere la faccia. Qualunque ruolo, e si tratterà comunque di un ruolo limitato, voglia provare a giocare in Libia l’Italia, Paese senza truppe da mettere in campo a differenza della Francia per non parlare della Turchia, dipende tutto e solo dalla sua credibilità politica. Il danno provocato dal mancato incontro con Serraj era una cosa seria e almeno in parte ieri è stato posto rimedio.

NEL MERITO, LE COSE sono andate come era facile prevedere. Il premier italiano cerca a tentoni la strada per una soluzione pacifica, appoggiandosi a una Unione europea che però è ancora troppo divisa per incidere davvero. «Lunedì sarò in Turchia, martedì in Egitto. Ho programmato colloqui telefonici con i leader di tutti i paesi coinvolti. Voglio continuare a tessere la tela che deve portarci a una soluzione pacifica», dichiara Giuseppe Conte sfoderano ottimismo. Le parole del libico non confortano però aspettative rosee: «Accogliamo con piacere le iniziative della Turchia e della Russia per il cessate il fuoco. A condizione che ci sia il ritiro di chi ci attacca». Cioè di Haftar, che il rivale cita in continuazione: «Apprezziamo il ruolo dell’Italia ma Haftar partecipa alle conferenze internazionali solo per guadagnare tempo. Non ci fidiamo. È il suo attacco che ci costringe a combattere, esercitando il diritto a difendere Tripoli». Ed è ancora Haftar che, con la sua offensiva, «crea un impedimento anche all’organizzazione della conferenza di Berlino». Serraj, infine, non si risparmia una frecciata pungente rivolta non solo all’Italia ma all’intera Ue e oltre: «Stupisce il silenzio della comunità internazionale sui crimini contro i civili che vengono commessi a Tripoli».

CONTE OFFRE QUEL CHE HA da offrire e non è molto. Promette «il coinvolgimento maggiore dell’Unione europea, massima garanzia che si possa offrire oggi all’autonomia del popolo libico». All’insistenza di Serraj, che mira evidentemente a costringere l’Italia a uscire dall’ambiguità schierandosi di nuovo apertamente contro Haftar, replica garantendo di aver protestato vibratamente con il generale per l’attacco contro l’Accademia militare di Tripoli. E si impegna a formare una commissione congiunta incaricata di riprendere le compensazioni italiane nei confronti della ex colonia, interrotte nel 2014.

LA REALTÀ È CHE L’ITALIA, nel Paese nel quale sino a pochi anni fa esercitava un ruolo chiave, oggi è totalmente marginale. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio prova a sostenere il contrario: «Chi dice che l’Italia non ha una posizione internazionale centrale su questo dossier si dovrà ricredere. Nei prossimi giorni si riunirà un tavolo tra Russia, Turchia e Italia, fortemente voluto da me, per arrivare a un cessate il fuoco anche prima della conferenza di Berlino». Sono chiacchiere, non troppo diverse dal proclama con cui, poco più di un anno fa, il leader del 5 Stelle assicurava di aver «sconfitto la povertà». Le sorti del teatro libico, anche se quel tavolo si riunirà davvero, sono in mano a due soli convenuti: l’Italia non è tra quelli.
La sola via che il governo di Roma può battere per rientrare in gioco è l’ingresso in campo dell’intera Unione europea, con una determinazione della quale per ora non c’è traccia. Per questo è pregiudiziale un accordo con la Francia, che sin qui ha sempre sostenuto Haftar. Dopo il colloquio con Serraj, Conte ha chiamato il presidente francese Emmanuel Macron e naturalmente l’accordo sull’«importanza di un coordinamento europeo» è stato pieno. Se saranno solo parole o se, pressati dall’iniziativa di Putin e di Erdogan, gli europei si sveglieranno davvero lo si capirà molto presto.