La battaglia di Tripoli arriva al centro città e si scatena dal cielo. Mentre la comunità internazionale chiede a gran voce al generale Haftar, che ha lanciato giovedì 4 aprile la sua offensiva per «liberare Tripoli dai terroristi», di fermarsi e ritirarsi, il premier Fayez Serraj, dopo aver recuperato posizioni grazie ai bombardamenti dell’aviazione misuratina, appare in tv alle otto della sera.

SERRAJ parla di «golpe di Haftar», ribadisce che solo la conferenza nazionale libica indetta dall’Onu può dare un assetto civile stabile al Paese e che «qui non si tratta di un conflitto tribale o regionale», c’è un aggressore e un aggredito e le due posizioni non si equivalgono, così pure per lui c’è da tenere in conto le distinzioni tra coloro che «cercano la militarizzazione dello Stato e chi è impegnato in uno stato civile democratico», intendendo il suo governo, con le sue milizie e i suoi guardiacoste.

GLI SCONTRI ieri infuriavano nella centrale arteria stradale di Salah al Din, dove si erano dirette le milizie di Tarhouna, alleate all’Lna di Haftar. Altro obiettivo conteso resta il vecchio aeroporto internazionale di Tripoli e la strada d’accesso. Ma si combatte anche intorno ai ponti e nelle adiacenze della prigione di Ein Zara. Almeno quattro sono stati i raid aerei dell’aviazione misuratina, mentre il portavoce di Haftar, Ahmed al Mismari, ha negato che gli aerei della cirenaica abbiano lanciato bombe. Mismari ha contato 14 suoi soldati morti in due giorni di combattimento. Ma c’è stato anche il primo morto civile: un giovane medico, Ayman al-Harrama, caduto mentre prestava soccorsi nei dintorni di un’ospedale della zona sud della città, la più bersagliata dai bombardamenti. Tutti gli ospedali di Tripoli sono in «stato d’emergenza» e, naturalmente, la finale del campionato di calcio è stata sospesa sine die.

Il ministro dell’Interno del governo Serraj, Fathi Bashaga, ha dichiarato a fine giornata: «La situazione è eccellente grazie ai rinforzi arrivati in città» (da Misurata e Zawiya ndr) e per le prossime ore ha annunciato una controffensiva verso la base militare di Jufra e il Sud. Sul cielo della Cirenaica intanto è stata decretata da Haftar una no-fly zone: ogni veicolo aereo sarà abbattuto.

LA RIUNIONE NOTTURNA del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso all’unanimità – Russia inclusa – di chiedere ad Haftar di fermarsi e di riprendere il dialogo con la mediazione Onu. Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian ha chiarito che la Francia, da sempre sponsor di Haftar, in questo momento «non crede in una soluzione militare» invitando entrambe le parti a sostenere l’iniziativa dell’inviato speciale Onu, Ghassam Salamé, e a rimettersi intorno ad un tavolo. Quanto alla Russia, altro grande partner del «feldmaresciallo» di Bengasi, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov è volato al Cairo dove sulla crisi libica ha avuto un faccia a faccia con il suo omologo egiziano. Nella conferenza stampa congiunta, Lavrov si è detto preoccupato soprattutto per l’utilizzo di aerei militari «da entrambe le parti» ma ha voluto anche dare una stoccata alla Nato, indicando proprio nel suo intervento nel 2011 «la ragione principale» del caos della Libia, diventata «fonte di instabilità regionale e focolaio del terrorismo». Sia Lavrov che il ministro cairota Shukri hanno convenuto che comunque non è con le armi che adesso si può trovare una via di uscita. E il presidente Al Sisi ha chiesto «un’azione urgente» della comunità internazionale per fermare l’escalation.

L’INVIATO ONU Salamé, contro ogni previsione dopo l’innesco dell’escalation militare, ha annunciato nel pomerioggio che la conferenza nazionale libica si terrà, come da programma, «a metà aprile» a Ghadames, «a meno di situazioni di forza maggiore». Salamé, dopo aver incontrato il premier Serraj a Tripoli, ha assicurato: «Siamo accanto ai libici e non li lasceremo soli. Il nostro approccio è di andare verso il rilancio del processo politico, verso la riunificazione di tutte le parti coinvolte e l’abbandono del linguaggio delle armi».
Il premier Serraj è comparso a ora di cena in tv, ma nelle zone degli scontri a fuoco e dai raid – tra cui Gharyan e Aziziaya -, un vasto black-out elettrico non ha permesso l’accensione dei televisori.