Nel vasto programma di «Cinema Ritrovato» una speciale sezione è dedicata a Sergej Paradjanov. Non georgiano, non ucraino, ma nato da genitori armeni a Tbilisi (nel 2024) «armeno fino in fondo», come indica il suo nome Paradjanian poi sovietizzato. Certo non gli mancava lo spirito dei georgiani, ma in lui emergeva una tipica amarezza, una vocazione al baratro, come dimostra la sua vita sempre in bilico tra processi, censure e prigione, colpito per la sua vita personale («sono l’unico omosessuale sovietico») col pretesto di traffici di oggetti d’arte, lui che poteva creare meraviglie con una sola piuma e un po’ di carta argentata.

«Cinema Ritrovato» riporta alla luce la sua produzione alle origini di quella meraviglia che sarà poi «Sayat Nova» del 1969, dove appare un mondo creativo di simbologie mai viste prima, si direbbe l’esplosione di una melagrana con il suo misterioso contenuto di colore e numerologia, definito da lui «una piccola finestra da cui intravedere il mondo armeno», il mondo del poeta del ’700 Aruthin Sayadin.

I film in programma appartengono alla produzione di documentari da lui considerata poco riuscita, realizzata in Ucraina quando già aveva compiuto studi al conservatorio, alla facoltà di edilizia dell’istituto di ingegneria per i trasporti ferroviari di Tbilisi, e alla scuola di cinema di Mosca (Vgik). Sono film vicini ai canoni delle commedie ambientate nelle fattorie collettive come Persvj Parubok, Peruyi Pareni, (1958) di grande successo commerciale o il documentario Dumka (’57) sul coro accademico di stato fondato nel 1919 e sopravvissuto a tutti i cambiamenti del paese, e ancora in attività, Zoloty Rucky (1957) sugli artigiani ceramisti, con l’attenzione del futuro collezionista di opere d’arte, Kvita na kameni (’60-’62) storia di un minatore del Donbass dove già si nota la decostruzione del racconto basato su canoni del realismo socialista, Ucrainska Rapsodia (’61) che esprime la sua conoscenza del canto, Kyivsiki Fresky (’66) film cancellato dall’ufficio di Kiev del comitato statale dell’Urss.

E mentre aveva già ricevuto l’invito dei georgiani a girare Sayat Nova, gira «Le ombre degli avi dimenticati» (Tini zabutych predkiv ’66) storia di amore e disperazione tra appartenenti a due clan in guerra da anni. Si manifesta qui una decisa sterzata poetica di stile, tanto da far diventare il film un’icona per il futuro cinema ucraino, un film che, diceva, unisce letteratura, storia, etnografia e filosofia in un’unica immagine cinematografica.