L’amministrazione Trump celebra due settimane in carica in un paese in subbuglio. A Washington continuano i lavori per completare il governo ma la formalità della conferma parlamentare dei ministri designati è degenerata in battaglia campale. Mercoledì sera si è ufficialmente insediato al dipartimento di stato Rex Tillerson, l’ex Ad della Exxon corporation e una delle figure più controverse del gabinetto per i palesi conflitti di interesse, compresi gli stretti rapporti d’affari che lo legano a Wladimir Putin.

L’OPPOSIZIONE ha continuato a registrare la propria opposizione al petroliere ma in ultima analisi i democratici non hanno i numeri per bloccare le nomine. In alternativa i senatori hanno preso a boicottare le commissioni preposte, mossa puramente simbolica dato che i repubblicani hanno modificato il regolamento per permettere la conferma anche senza la partecipazione della minoranza. Con questo sistema è stato ratificato ieri Scott Pruitt l’avvocato dei petrolieri preposto alla rottamazione della agenzia di protezione ambientale (Epa), dicastero che egli stesso ha definito «superfluo».

LO SCOMPIGLIO viene rivendicato dai trumpisti come segno che il presidente sta mantenendo fede al proprio mandato di «decostruzione dell’ordine costituito», un’opera esplicitata finora dalla raffica di decreti presidenziali. Iniziati col proclama solenne di una giornata di «devozione patriottica», gli ordini ad oggi sono una dozzina e prendono di mira principalmente l’ambiente, annullando normative e autorizzando oleodotti (compreso quello che attraversa le terre Sioux) e popolazioni deboli e marginalizzate: cooperazione internazionale (vietata se i fondi sono per la pianificazione famigliare), abrogazione della sanità pubblica e interdizione agli immigrati musulmani.

LA NARRAZIONE DELLA VITTORIA trumpista è stata finora quella della riscossa della working class esautorata ma all’atto pratico nella stanza di bottoni sono entrati banchieri della Goldman Sachs (tre ministri), la destra teocon (a loro è dedicata la nomina del ultra conservatore Neil Gorsuch alla corte suprema) e la lobby militarista e anti islamica (con generali posti ai punti nevralgici della difesa.)
Pur in questo quadro la parte più inquietante dell’operazione Trump rimane la gestione del più ampio progetto politico e «culturale» affidato ad un trust ordinovista di indirizzo alt-right. Il «secondo uomo più potente del mondo» è infatti il «consigliere strategico» Steve Bannon che ha lo scopo dichiarato di creare un «nuovo ordine politico». Nella visione di Bannon rientra la decostruzione della società multiculturale predicata sul percorso dei diritti civili degli ultimi 50 anni, una implicita supremazia bianca, una forte corrente «machista» sotto le spoglie di una abolizione della «correttezza politica» e la restaurazione degli «anni d’oro di un capitalismo giudeo-cristiano». Già direttore del portale alt-right Bretibart News e produttore cinematografico, Bannon è un esperto guastatore culturale ed è da lui che emanano gli effetti più perniciosi della riconversione trumpista dell’esperimento americano.

L’OPERA DI BANNON ha molto a che vedere con gli eventi avvenuti a Berkeley ieri notte quando nella culla della contestazione degli anni ‘60, è esplosa la protesta che ha messo a ferro e fuoco il centro della città universitaria. Causa scatenante è stato un comizio di Milo Yiannopolous programmato sul campus californiano. Yiannopolous è un esponente di estrema destra di ultima generazione, apertamente gay e antifemminista, educato a Cambridge opera come «fascio punk», con proclami shock contro «il cancro della giustizia sociale» e le immancabili crociate contro la correttezza politica, ribadite l’estate scorsa alla convention di Cleveland. Il recidivo trollismo gli sono valsi il bando perpetuo da Twitter.

Yiannopolous è il diretto delfino di Bannon che lo ha assunto a Breitbart e di cui è attualmente un «senior editor» e dunque direttamnte legato al principale «commissario politico» di Trump. Per il resto, nelle ultime 48 Trump ha «avvertito» l’Iran per il lancio di un missile balistico, minacciato l’invio di truppe per contrastare l’illegalità in Messico («bad hombres» nel lessico del presidente) e attaccato il telefono in faccia all’alleato conservatore australiano Malcolm Turnbull per un diverbio su mille profughi che gli Usa si erano impegnati ad accogliere.