Cominciò con nuvole di polvere e gas lacrimogeni. Poi arrivarono i cannoni ad acqua, le pallottole di gomma, i manganelli, la forza brutale della repressione di chi chiedeva che il parco continuasse a vivere. A sei anni di distanza è arduo ricordare quei giorni in dettaglio. Ma è certo che in Turchia non era mai accaduto niente di simile; finalmente, in un paese con alle spalle duecento anni di processi verso la democratizzazione, il popolo reclamava diritti e libertà dando vita a un movimento di massa.

Sei anni dopo, quello che rimane di Gezi può sembrare poca cosa per chi è cresciuto con la mentalità del consumismo, che offre soluzioni rapide al cliente purché paghi. Ma Gezi è stata più simile al rito della preparazione del tè, che richiede il giusto tempo per il gusto perfetto. L’alleanza nata intorno a quel parco può offrire alla Turchia più di tanti altri recenti sviluppi.

La narrazione è cambiata

Il primo impatto delle proteste ha riguardato la superiorità retorica di Erdogan nel dibattito pubblico, in precedenza indiscussa. Fino a #OccupyGezi, lo spazio politico in Turchia era dominato da Erdogan, da oltre un decennio. Da solo, decideva di quali argomenti dovessero discutere tanto il governo quanto l’opposizione. Ogni sua parola dettava il discorso ai politici, ai team delle agenzie di comunicazione e perfino a milioni di persone nella loro vita sociale.

Manifestanti ballano in piazza Taksim (Foto: Reuters)

 

Nei primi giorni di Gezi, aveva detto: «Non possiamo rimanere in silenzio mentre un gruppo di çapulcu (saccheggiatori) provoca la mia nazione proprio al centro della città». Con la protesta di migliaia di persone, il termine çapulcu subì un cambiamento semantico, diventando sinonimo di «persona che usa la propria creatività per chiedere nuovi diritti e libertà democratiche», grazie all’uso che ne fecero i media sociali.

Da Gezi in poi, la retorica del partito di governo Akp (Giustizia e sviluppo) è stata indebolita dall’uso creativo di parole, frasi e discorsi. Nei sei anni seguiti alle proteste di Gezi Park, tante parole hanno cambiato significato, diventando talvolta un mezzo per unificare l’opposizione, che ad esempio l’anno scorso si è riunita intorno alla parola «basta» in risposta a Erdogan che aveva promesso: «Me ne andrò dal potere solo se la mia nazione dirà basta».

Istanbul unita

Durante #OccupyGezi, così come i leader dell’opposizione si mobilitavano intorno a parole dal significato nuovo, i tifosi di diverse squadre si univano sotto la bandiera dei Çarşı, i supporter del Beşiktaş, marciando in migliaia verso il parco. Alla fine del gioco del gatto e del topo tra polizia e manifestanti pacifici, quando non c’erano più proiettili di gomma e cannoni ad acqua sparati liberamente su tutti, il parco sembrava un festival dei colori.

Le tende del presidio (Foto Reuters)

 

C’erano progressisti, conservatori, liberali, anarchici, tutta la gamma della sinistra, orientamenti che si pensava non avrebbero mai potuto andare d’accordo su nulla. Anche molti nazionalisti erano arrivati a capire fin dove si possa spingere un incontrollato potere statale quando i riflettori sono spenti. C’erano ovviamente gli ambientalisti. E i gruppi Lgbti+, i movimenti delle donne, e i Pirati che si battevano per i diritti e le libertà digitali.

Un’atmosfera di unità nella diversità a livello di base. Se si dovesse descrivere quella situazione con un’unica parola, sarebbe «tolleranza». Dopo l’abitudine ai sogni infranti, ecco in Turchia per la prima volta un periodo di «Yes, you can».

Gezi e i media

Alla domanda: «Che cosa ricorda la gente delle proteste a Gezi Park nel 2013?», molti risponderebbero: «I pinguini». Controllati dal partito di governo Akp, i media ignoravano ciò che stava accadendo in Turchia e, quando si occupavano delle proteste, lo facevano in modo distorto. Cnn Turk mandava in onda un documentario sui pinguini dell’Antartico, mentre contemporaneamente Cnn International trasmetteva in diretta dal parco. In quei giorni, i telespettatori di Ntv irruppero nella sede del canale televisivo sventolando banconote e dicendo: «Se avete bisogno di soldi, eccoli; ma dateci le notizie!».

In quel periodo, gli utenti più impegnati dei social media si diedero al giornalismo partecipativo, trovando le notizie e diffondendole. I giornalisti di professione che vedevano i propri servizi rifiutati dai caporedattori e gli esperti di computer si allearono creando proprie reti di informazione.

Manifestanti fuggono dai cannoni ad acqua (Foto Reuters)

 

Lavoro per una di queste reti: Dokuz8NEWS nacque proprio all’epoca di Gezi. In questi anni, abbiamo offerto corsi di formazione per il giornalismo partecipativo, promuovendo reti di media regionali in tutto il paese e informando il pubblico sugli eventi grazie a centinaia di cittadini reporter. Mentre i media convenzionali hanno opposto resistenza ai cambiamenti, da Gezi in poi i portali digitali sono cresciuti e hanno trasformato la cultura dei media nel paese.

Che cosa rimane?

Gezi ha mostrato al popolo turco che per ottenere risultati non basta lamentarsi del governo cattivo, che le persone chiedono un futuro migliore e basato sui principi di giustizia e democrazia, e che gli impegni dovrebbero essere in linea con queste richieste. Il partito Gezi in Turchia ha avuto vita breve; ma lo spirito di Gezi ha trasformato il modo di fare politica in Turchia e continua a offrire speranza a milioni di cittadini.

Nel sesto anniversario delle proteste, a Taksim Square sono stati schierati migliaia di poliziotti, per bloccare l’accesso al parco. Ma i cittadini si sono riuniti, a migliaia.

E Taksim Solidarity continua a significare una domanda di progresso, diritti e libertà, di rispetto della dignità dei cittadini da parte dello Stato. Tutti abbiamo imparato che, quando abbiamo chiari i principi, possiamo ottenere molti risultati; ma non dobbiamo avere fretta. Sono sicuro che nei prossimi anni vedremo, il 31 maggio, milioni di persone celebrare l’anniversario delle proteste di Gezi Park, punto di svolta nella storia della Turchia.

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Dalle tende al web: la rete nata per raccontare Gezi

L’autore. Gürkan Özturan, ricercatore specializzato nel campo della radicalizzazione, lavora come giornalista e amministratore per Dokuz8NEWS ed è commentatore di media internazionali sulla politica turca. In precedenza ha contribuito a diverse pubblicazioni in Turchia ed Europa, scrivendo di diritti e libertà digitali, di movimenti populisti e di radicalizzazione, un fenomeno in crescita. Ha fatto parte di diverse Ong e movimenti sociali antirazzisti e per i diritti umani. Attualmente è nel direttivo della Turkey-Europe Foundation e della Media Research Association. Fa parte dell’Unione dei giornalisti turchi e della Federazione internazionale dei giornalisti.

Dokuz8NEWS. Rete di giornalismo partecipativo che propone reportage in tempo reale in un’epoca in cui il giornalismo e il diritto dei cittadini a essere informati sono gravemente minacciati in Turchia. Organizzazione senza fini di lucro, pubblica in turco e in inglese. Nata come rete durante le proteste popolari di Gezi Park, ha tre campi operativi: produzione di notizie, organizzazione di corsi di media e giornalismo nelle varie regioni della Turchia e research on journalism.