La proiezione del film dedicato a Claudio Caligari è stato un regalo per tutti, un’esperienza emotiva che ha coinvolto il pubblico quanto chi lo ha firmato (Simone Isola e Fausto Trombetta), le maestranze che gli hanno dato vita e Valerio Mastandrea che lo ha nutrito, a cominciare dalla lettera inviata a Martin Scorsese perché aiutasse economicamente il film.
Se l’aldilà non esiste sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari è la ricostruzione di un delitto. Tra i registi della generazione degli anni settanta che hanno dovuto lottare duramente spesso invano per riuscire a realizzare le loro opere considerate scomode, da tenere a bada, sotto censura per le loro idee «sovversive» e che si sono per questo logorati, ammalati gravemente e sono scomparsi precocemente, Caligari è stato uno dei casi più emblematici, perché lui il grande successo lo aveva raggiunto e nonostante questo era stato volutamente ignorato dal mondo produttivo. Non faceva parte dell’underground, era un documentarista che aveva raggiunto il consenso del grande pubblico generazionale e dei circuiti indipendenti (Perché droga con Daniele Segre, Lotte nel Belice, La parte bassa).

È STATO uno dei testimoni del movimento, delle varie fasi delle lotte, delle indagini sulle trasformazioni delle armi che il capitalismo (internazionale) metteva in atto per stroncare le lotte, come fu l’introduzione in Italia dell’eroina, prima di allora inesistente sul mercato. Da Milano si trasferisce a Roma per il suo esordio Amore tossico (’83) il film più visto durante le occupazioni, un grido di rabbia, una rivoluzione di linguaggio, che evidenzia la sua derivazione pasoliniana e forse ancora di più una sorta di pellegrinaggio in quella desolata periferia di Ostia terra di nessuno, dove nemmeno il comune aveva ancora posto una lapide decente, ma crescevano erbacce sul luogo del massacro. Poi con L’odore della notte (’98) scelto come film italiano dalla Settimana della critica, tornava quindici anni dopo a Ostia mercato di nuove droghe e altre morti di diverso tipo con Non essere cattivo (2015) presentato alla mostra di Venezia: tre film in venti anni e tante porte sbattute in faccia, una quantità di sceneggiature non realizzate, proprio come quelle che abbiamo visto impilate sulle scrivanie dei registi sotto censura nei paesi dell’est. Furono bloccati due film che anticipavano i tempi come negli anni’90, pronto per le riprese, Anni rapaci sull’arrivo delle ’ndrine al nord e un altro film sulle baby squillo nei quartieri bene di Roma.

SILENZIOSO e determinato secondo il suo temperamento nordico, nonostante la terribile sofferenza, si segue giorno per giorno la lavorazione dell’ultimo film dove risalta la sua forza creativa pur negli ultimi giorni della sua vita (morirà due giorni dopo la fine del montaggio), si dipana la sua vicenda creativa, emergono i segreti del suo lavoro con gli attori che ha plasmato: Valerio Mastandrea diventato il suo sostegno, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Luca Marinelli nella sua prima esperienza di avventuriero dei bassifondi. «Caligari, dice Mastandrea nel film, è come Zeman, un cinema d’attacco, con il 4-3-3 sa sfondare senza mezzi termini, e ci si diverte».
Se non c’è l’aldilà sono fottuto» (titolo preso da una lettera di Caligari) si potrà vedere in proiezioni evento, tra cui ad Arona dove è nato, e poi sarà programmato sulla Rai.