Il primo nemico del Parlamento? Il Parlamento stesso, verrebbe da rispondere alla luce della riforma che ha travolto la normativa di attuazione degli istituti di democrazia diretta con la previsione della raccolta telematica delle firme. È bastato un emendamento al disegno di legge di conversione del decreto-legge su semplificazioni e Pnrr (d.l. n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021) per cambiare tutto. Se fino a ieri le 500mila firme necessarie a proporre un referendum abrogativo (art. 75 Cost.) o costituzionale (art. 138 Cost.) e le 50mila firme con cui sostenere una legge d’iniziativa popolare (art. 71 Cost.) andavano raccolte fisicamente, con i banchetti distribuiti sul territorio e i militanti per le strade, discutendo con gli elettori per convincerli a fermarsi e ad apporre la loro sottoscrizione, oggi tutto ciò è un ricordo.

Grazie alla nuova normativa è, infatti, oramai sufficiente attivare la piattaforma pubblica o aprire un sito internet e – così recita la norma – raccogliere le firme «mediante documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata», senza necessità di successiva autenticazione. Tutto ciò, in attesa che, a partire dal 1° gennaio 2022, la piattaforma pubblica consenta di procedere senza doversi assumere alcun onere (attualmente, l’utilizzo della piattaforma pubblica è a pagamento per i promotori, mentre l’impiego di appositi siti è economicamente oneroso anche per i sottoscrittori).

Bene ha fatto per primo Andrea Fabozzi a sollevare su queste pagine interrogativi e perplessità, sottolineando come proprio il clamoroso successo della nuova normativa, applicata alla raccolta delle firme per il referendum sulla cannabis, ne mostri appieno la problematicità. La soglia delle 500mila firme è stata raggiunta in una settimana, aprendo subito la strada a nuove iniziative: in particolare, quelle per la soppressione del c.d. green pass.

È come se il termine del 30 settembre previsto per il deposito delle firme dalla legge n. 352/1970 – in modo da consentire le successive verifiche di legalità e di legittimità da parte della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale e l’eventuale svolgimento del referendum nella finestra temporale compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno di ogni anno – avesse perso buona parte del suo significato. Un tempo, valeva a costringere i promotori a organizzarsi in anticipo, calibrando il proprio impegno attraverso un’adeguata mobilitazione delle risorse umane, strumentali ed economiche che dovevano condurli a ottenere tutte le adesioni necessarie.

Tra l’approvazione di una legge e la votazione della sua abrogazione referendaria necessariamente si poneva uno iato temporale e una mobilitazione politica che rendeva possibile la discussione, l’approfondimento, il confronto. L’emotio della contrapposizione, che aveva portato all’approvazione della legge contestata, aveva modo di raffreddarsi e la ratio poteva tornare a farsi sentire, assicurando una pur minima riflessione su una questione altrimenti ridotta a una conta tra Sì e No. Oggi, la decina di giorni che ci separa dalla fine del mese è – evidentemente – ritenuta adeguata a una mobilitazione telematica che, al di là dell’esito, non potrà che essere impulsiva, emozionale, vendicativa. Ci avete imposto l’obbligo del green pass? Benissimo, e allora vi rendiamo immediatamente pan per focaccia con il referendum abrogativo.

Beninteso, il Parlamento è in molti casi responsabile per la propria incapacità d’azione, come nel caso dell’eutanasia, che non è stato capace di disciplinare, nel termine di un anno assegnatogli dalla Corte costituzionale, con una legge compatibile con la Costituzione. La soluzione, tuttavia, è rafforzare, non indebolire il Parlamento. Tanto più trattandosi di un Parlamento incapace di cogliere l’effetto di delegittimazione delle sue stesse decisioni: nel caso in commento, oltretutto, nonostante il parere contrario del governo, che giustamente avrebbe voluto circoscrivere l’innovazione della firma telematica alle persone con disabilità.

Viene da chiedersi se davvero ha ancora senso attribuire il nome di «partiti» a entità, come quelle che esprimono i gruppi parlamentari di Camera e Senato, che sempre più si mostrano distanti da quei soggetti politici, consapevoli del proprio ruolo istituzionale e sociale, che i costituenti avevano posto alla base della nostra democrazia parlamentare.