In un paese che sta vivendo la sua massima stagione di lotte sindacali da decenni, cominciava ieri il primo sciopero degli infermieri dalla fondazione del pubblico servizio sanitario nazionale, il National Health Service (Nhs). In Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, i lavoratori e le lavoratrici della categoria si sono astenuti dal lavoro a decine di migliaia, affluendo ai picchetti davanti agli ospedali. Vogliono un aumento salariale del 19% contro quello offerto dal governo, fermo al 4%, per porre limite a un depauperamento del potere d’acquisto dei loro stipendi (leggi: il loro impoverimento) mentre il Paese conosce un’impennata inflattiva quasi senza precedenti. Lo sciopero non preclude la fornitura di servizi essenziali come chemioterapia e dialisi, funziona in modalità festiva ed è quasi certo che proseguirà nel nuovo anno.

FINORA LE TRATTATIVE fra il governo, i sindacati e l’organismo che rappresenta la categoria, il Royal College of Nursing (Rcn), ai lavoratori non hanno fruttato alcunché. Dal ministero della Sanità fanno sapere di essere «enormemente rammaricati» nelle parole della Health Minister Maria Caufield a Sky News, ma di non poter in alcun modo accogliere le richieste senza aumentare il debito, le tasse e/o il taglio di altri pubblici servizi. E stima che nei due giorni di sciopero – il prossimo sarà martedì 20 – salteranno circa settantamila tra interventi, appuntamenti e consultazioni. Le fa eco il segretario di stato per la salute Stephen Barclay, secondo il quale il governo «non può permettersi» di soddisfare una simile richiesta data «la situazione economica che stiamo affrontando».

Nelle sue trattative con il Rcn il governo si nasconde dietro i suggerimenti (non prescrittivi) ricevuti sulla questione salariale da un organismo “indipendente”, il Nhs Pay Review Body, sulla cui indipendenza le virgolette sono d’obbligo: «È istituito dal governo, pagato dal governo, nominato dal governo e i parametri della revisione sono fissati dal governo», ha detto la segretaria del Rcn Pat Cullen ai microfoni della Bbc.

Inoltre, le raccomandazioni seguite scrupolosamente da quest’ultimo – pur senza che debba osservare tale obbligo – risalgono all’estate scorsa, prima dell’esplosione dei rincari. Il Rcn ribatte inoltre che il 19% di aumento richiesto riflette l’erosione subita delle buste paga negli ultimi anni. E che le lotte sono anche per la sicurezza dei pazienti, esposti come sono ai rischi connessi alla supplenza affrettata di ruoli chiave da parte di personale sostitutivo.

LO STORICO SCIOPERO arriva nel bel mezzo dell’inverno più duro per la sanità britannica, alle prese con carenza cronica di personale, liste d’attesa chilometriche e molti altri problemi, di cui l’inesorabile processo di privatizzazione di cui è oggetto dagli anni Ottanta è senz’altro responsabile. Già la scorsa primavera, un grosso studio prodotto dall’autorevole rivista medica The Lancet, evidenziava come la brusca accelerazione della privatizzazione innescata dai tories un decennio fa abbia provocato un calo della qualità dei servizi e «aumentato significativamente la mortalità tra i malati curabili».

La revisione della prassi sanitaria, introdotta da Andrew Lansley, ministro della Sanità nel governo di coalizione con i Libdem di David Cameron, obbligava le strutture sanitarie locali ad appaltare contratti a privati per servizi fondamentali e a costo di svariati miliardi in denaro pubblico. E non era che l’ultima goccia nello stillicidio di privatizzazione neoliberale inaugurato da Margaret Thatcher e devotamente mutuato dal New Labour di Tony Blair. Aspettarsi solidarietà nei confronti degli scioperi da parte del sostanzialmente blairiano Starmer è naturalmente una pia illusione: il golden boy della soft left Wes Streeting, ministro ombra della Sanità e papabile successore di Starmer, si è sperticato a biasimare gli scioperi, garantendo la futura continuità con un andazzo privatistico che è bipartisan da decenni.

L’NHS, IL PRIMO SERVIZIO sanitario nazionale europeo del dopoguerra, fu fondato dal governo laburista di Attlee nel 1948 anche su input del Beveridge Report (1942), lo storico rapporto-disamina delle spaventose disparità sociali del paese compilato dal liberale William Beveridge e che ricevette l’entusiastica approvazione di Keynes, l’allora papa laico della politica economica britannica.