La mattina del day after a Cantiano, Toni, 65 anni, già amministratore pubblico e esperto di salute e sicurezza sul lavoro, guarda dalla finestra di casa sua, casa non al primo piano per fortuna. Quello che vede è il fango che riempie le piazze del paese in provincia di Pesaro e Urbino dove l’alluvione ha creato il disastro idrogeologico veicolato dalle immagini più impressionanti in circolazione in queste ore su tutti i media.

È CANTIANO IL COMUNE delle foto di auto vorticanti su strade divenute letti di fiume dove in poco più di due ore sono caduti quattrocento ml d’acqua per mq «l’equivalente di sei mesi di precipitazioni, che hanno fatto straripare un fiume dagli alvei puliti da meno di due settimane». Lo spiega il Sindaco Alessandro Piccini «un evento non evitabile, che ha fatto danni enormi nel centro, sulle attività che si affacciano sulla viabilità pubblica, andate completamente distrutte». Lo chiamano, ci sono ovviamente problemi di viabilità, un via vai di mezzi Anas, vigili del fuoco, mezzi della protezione civile, volontari.

Piccini ha messo in piedi velocissimamente un Centro Operativo Comunale, con recapiti tra gli altri di incaricati all’assistenza della popolazione, responsabili materiali e mezzi, sanità, coordinamento volontari, al censimento di danni alle persone e alle cose. Già le persone e le cose. Cantiano non conta vittime, non conosce lo strazio dei dispersi e dei sommersi dei comuni dell’anconetano, ma la comunità è pervasa da un avvilimento sordo e compatto come la coltre di fango.

«ALL’ALBA VERREBBE voglia di avere speranza ma prevalgono stanchezza, incredulità, siamo disarmati» dice Toni con gli occhi fissi ancora fuori dalla finestra da dove poche ore prima ha visto passare «un flusso di auto, anche le nostre, frigoriferi, congelatore, il bancone del bar del caffè centrale che da pochissimo aveva cambiato proprietario» i segni di strenua vitalità economico sociale di una comunità alla centrifuga. Toni evoca gli oggetti marcatori del quotidiano, li vede ancora passare. Viene in mente la scena del ciclone del Mago di Oz che solleva la casa e fuori di essa dove vorticano mobilio, finestre, animali.

«DOVEVO SCEGLIERE se salvare i cani o l’attività, ho scelto i cani» dice Capodacqua, cognome fatale del fotografo che da 47 anni ha la sua attività nella piazza principale del paese «il livello del fango cresceva a vista d’occhio, l’acqua invadeva locali «ho perso tutto, l’archivio di una vita, gli ultimi lavori. Dopo la pandemia sono ricominciati i matrimoni, le cose andavano bene, e anche se oggi tutti fotografano un professionista non ha paura dei dilettanti. Ma è ora è tutto finito». Nei ristori fa poco affidamento teme i tempi lunghi. C’è sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, è in visita, vuol capire esattamente cosa serve, per mettere a fuoco cosa chiedere, fare la lista delle priorità. «Cantiano è impressionante, un mondo rovesciato. La zona industriale (piccola ma con realtà tecnologicamente all’avanguardia ) allagata gli stabilimenti produttivi sono sotto un metro e mezzo d’acqua».

INTANTO TORNA L’ACQUA ma via la luce, e tra poco farà buio. «Il fiume Burano, che in questa storia è l’assassino» – riflette Toni – «ad agosto era meta turistica, è stata una buona stagione». Cantiano è famosa per i cavalli, una razza autoctona, il pane, le amarene. Le case a un euro, gli immobili del centro storico disabitato offerte all’insediamento di nuove comunità residenziali; quei fabbricati antichi, ora che il fiume ha invaso il centro abitato insieme a torrenti Tenetra e Bevano sono abitazioni di Atlantide. Nella stagione del tutto fluido l’acqua distrugge e manca: c’è il problema di quella potabile, saltata fino ad Urbino in uno dei territori più assetati delle Marche, e del gas: le frane hanno rotto le condotte, gli impianti chiusi per motivi di sicurezza. Il fantasma della penuria energetica che si aggira in tutta Europa aveva portato qui a Cantiano a fare scorte imponenti di pellet ora inservibili perché perlopiù conservate in scantinati anch’essi oggi invasi dall’acqua.

Nelle strade sepolte di fango si aprono anche voragini: in via dei Molini c’è un tratto di fiume che si dice tombato, venatura carsica artificiale, con una copertura calpestabile, crollata sotto la pioggia. Arrivano intanto altre autorità, le regionali, Draghi è ora giustamente prima dove si piangono le vittime, l’inconsolabile dolore per la perdita dei bambini. «Qui – raccontano in paese – quando è scesa l’apocalisse stavamo tornando dal lavoro, in molti si sono fermati prima di entrare in paese, hanno dormito da amici, si sono salvati, qualcuno si è fermato fuori regione».

L’Umbria è a una sassata, Gubbio sedici chilometri. Poteva finire molto male per Luca che incontriamo mentre è diretto all’ospedale di Urbino per controlli; è commesso di un supermercato e ieri uscito dal lavoro è stato sorpreso dalla piena e soccorso dai carabinieri: insieme a due di loro e a un volontario della protezione civile è rimasto attaccato due ore alla ringhiera di una casa prima di potersi mettersi definitivamente in salvo.

I RACCONTI DI CANTIANESI che spalano, scossi, riportano tutti lo shock per la velocità con cui tutto è accaduto “il livello dell’acqua saliva come in un film del terrore”. Chi ha potuto è salito su alberi e cancelli, e questo è una sceneggiatura già vista, il segno di una resa ecologica e climatica che in questa terra provata da fisiologica sismicità, modelli Marche, crisi bancarie e manifatturiere, colpisce duro e mette troppo alla prova la sbandierata resilienza, la celebrata dignità e operosità che rischia di sfibrarsi a dispetto del suo passato ormai trapassato e del suo potenziale di futuro.