«Un incontro costruttivo in cui si è ribadita l’importanza di procedere speditamente nel processo politico sotto l’egida dell’Onu». Sono le parole che il presidente del Consiglio Conte ha usato ieri sul suo profilo Twitter per descrivere l’incontro avvenuto nel pomeriggio a Palazzo Chigi con il suo pari libico al-Sarraj e a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri di Maio.

SARRAJ HA RINGRAZIATO l’alleato per i suoi «sforzi per la stabilità della Libia», nonostante non fossero mancati attriti lo scorso anno quando Roma si era avvicinata anche al suo rivale giurato, il generale cirenaico Haftar, capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl).

Ma sono giorni lontani: il leader del Governo di Accordo nazionale (Gna) di Tripoli cerca da tempo di allargare il cerchio delle alleanze per non restare troppo schiacciato dai turchi, i protagonisti indiscussi del dossier libico grazie al sostegno militare risultato indispensabile a Tripoli per piegare Haftar. Sarraj lo sa bene e non a caso dopo la tappa romana volerà in Turchia dove ad attenderlo ci sono già i suoi ministri degli interni Bashagha e della difesa Namoursh.

Nel frattempo, continuano a far inorridire i massacri di civili avvenuti tra aprile e giugno 2020 a Tarhuna (60 chilometri a sud est di Tripoli).

HUMAN RIGHTS WATCH (Hrw) è tornata l’altro giorno sull’argomento chiedendo l’apertura di un’indagine. «Le famiglie di Tarhuna che hanno i cari dispersi hanno difficoltà ad andare avanti con le loro vite. Le autorità libiche dovrebbero compiere i passi appropriati per identificare i cadaveri e assicurare alla giustizia i responsabili degli abusi compiuti», ha scritto l’organizzazione statunitense nel suo rapporto pubblicato giovedì.

Sono almeno 338 i residenti di Tarhuna dati per dispersi dalle autorità locali in seguito al ritiro la scorsa estate delle forze di Haftar. Secondo i familiari degli scomparsi intervistati dall’organizzazione, i responsabili degli orrori sarebbero le milizie Kaniyat, affiliate alle forze di Haftar e già sottoposte a sanzioni dagli Stati uniti lo scorso novembre.

L’accusa di Human Rights Watch è che il clan al-Kani (sostenitore in passato del rais Gheddafi) avrebbe «rapito, detenuto, torturato, ucciso e forse fatto disperdere» gli oppositori o coloro che «erano sospettati di esserlo». I racconti pubblicati nel rapporto confermano quanto da mesi è già noto: a Tarhuna sono stati commessi crimini contro l’umanità.

PARTICOLARI MACABRI erano già emersi dai primi cadaveri ritrovati nelle fosse collettive: corpi ammanettati, con segni di tortura, a volte in così avanzato stato di decomposizione che per molti familiari è stato difficile il riconoscimento. Erano civili non combattenti, sottolineano le famiglie, ma in quei mesi in cui Haftar provava a entrare a Tripoli per porre fine al Gna «sostenuto dai terroristi», non c’era alcuna differenza. Erano nemici e come tali andavano eliminati.

«Quando catturavano e uccidevano qualcuno – racconta un intervistato – i miliziani si assicuravano di ammazzare l’intera famiglia così da non subire atti di rappresaglia. Poi gli assassini si prendevano denaro e proprietà». Tarhuna era base strategica per il generale Haftar per assaltare la capitale e porre fine alla sua offensiva anti-Tripoli iniziata nell’aprile del 2019.

Un’operazione naufragata in primavera quando il Gna, grazie ai turchi, è riuscito non solo a difendere la capitale, ma anche a far indietreggiare l’Enl dietro Sirte, da mesi linea della trincea tra Tripolitania (ovest) e Cirenaica (est). È qui, ha detto due giorni fa il portavoce dell’Enl al-Mismari, che le Nazioni unite schiereranno osservatori disarmati per monitorare il cessate il fuoco raggiunto lo scorso ottobre.

A SIRTE NON SI SPARA da mesi, eppure la città resta prigioniera delle tensioni di un Paese lacerato da mercenari di diverse nazionalità, dalle ingerenze straniere e dalle milizie armate che impongono, soprattutto in Tripolitania, la loro forza con lo strepito delle armi.

Il secondo scambio di prigionieri avvenuto due giorni fa tra il Gna e l’Enl è un passo positivo, così come gli incontri del Dialogo politico intra-libico. Ma non ci sarà mai vera riconciliazione finché non si darà giustizia alle voci delle Tarhuna libiche.