Lane vegetali e animali, bucce di pomodori, vinacce, paglie di gramigna o di canapa: ogni scarto va bene per Daniela Ducato e il team multidisciplinare con cui collabora, purché sia naturale. Nelle loro mani le eccedenze e i rifiuti speciali delle aziende si trasformano in preziose materie prime che danno vita a prodotti ecologici, ad elevate prestazioni, che a fine vita non diventano rifiuti. In fin dei conti non è niente di nuovo: è quello che fanno da milioni di anni gli ecosistemi naturali, al cui interno i «rifiuti» di un elemento si traducono in nutrimento per altri. Eppure nei nostri sistemi produttivi lineari sembra quasi impossibile.
Difficile racchiuderla in una definizione: è pluripremiata in tutto il mondo come imprenditrice – proprio lo scorso 4 marzo ha ricevuto l’ennesimo riconoscimento, il premio Innovazione 2018 dal Presidente della Repubblica – ma non possiede aziende né quote sociali (per mantenere il suo sguardo esterno ed oggettivo, ci dice). Fa innovazione, ma è lontana anni luce da quell’immagine da startup digitale che spesso abbiamo in mente quando pronunciamo la parola «innovazione». Porta con sé la schiettezza un po’ malinconica della sua terra, la Sardegna, e forse proprio grazie a questa riesce a guardare in faccia il mondo per quello che è mantenendo intatta la capacità di immaginarne uno diverso. Si definisce una freelance, esperta di economia circolare, ma è molto di più: dove passa lei le traiettorie lineari dell’economia si curvano, nascono sinergie fra aziende, gli scarti diventano preziose materie prime.

ALCUNI ESEMPI. LA COLTIVAZIONE DELLA CANAPA ha conosciuto una crescita significativa nel nostro paese negli ultimi anni; tuttavia esistono diversi scarti non omogenei di lavorazione che non sono utilizzabili per il tessile né per gli altri settori coinvolti (zootecnia, agglomerati edilizi). Questi scarti sono per legge rifiuti speciali, che i produttori pagano per poter smaltire correttamente, ma a livello organolettico mantengono intatte le proprietà del materiale. Dunque perché non acquistarli (trasformando un costo in un beneficio per i produttori) e utilizzarli per realizzare prodotti ad alte prestazioni? Dopo un attento studio delle proprietà della canapa il team della Ducato è giunto a progettare Edilana Hemp, un isolante termico ad alte prestazioni per la bioedilizia, che a fine vita non ha bisogno di alcun trattamento speciale e torna ad essere terreno fertile. Stesso concetto, cambiamo materiale: il sughero. Anche gli scarti di questa lavorazione, provenienti dai settori vitivinicolo e calzaturiero, sono rifiuti speciali; tramite la biotecnologia Edisughero vengono raccolti e utilizzati per realizzare un secondo tipo di isolante termico per la bioedilizia, che, anche in questo caso, a fine vita si biodegrada facilmente. Ancora, dagli scarti di argille del settore agroalimentare, disomogenei e non più utilizzabili, si ottiene un’agriceramica di rivestimento. E così via.

OGGI NELLE FILIERE EDIZERO, CHE RACCOLGONO i frutti di questi anni di progettazione e sperimentazione, si realizzano a km zero oltre 120 prodotti: isolanti termici, pitture naturali per appartamenti, malte, premiscelati. Tutti realizzati con eccedenze o scarti di altre lavorazioni come la lana corta, il sughero, la canapa, vari residui vegetali, scarti di sottolavorazioni agroalimentari. Queste filiere si avvalgono di un team multidisciplinare di ingegneri, agronomi, chimici, biologi, geologi, medici: tutte competenze essenziali per cogliere la complessità dei problemi e trovare soluzioni efficaci. L’economia circolare d’altronde – Daniela Ducato lo ripete spesso – necessita di complessità, coralità e democrazia anche al suo interno.

L’ULTIMA CREATURA NATA DAL LAVORO di questo team si chiama Terramia, punto di innovazione massimo che unisce le tecnologie dell’industria 4.0 all’economia circolare e alla sostenibilità ambientale. Si parte dall’osservazione di un problema: i prodotti in polvere per l’edilizia (il reparto produttivo più impattante a livello mondiale) sono costituiti da minerali importati con camion e navi da tutto il mondo, vengono lavorati con processi centralizzati molto energivori e infine di nuovo trasportati per lunghe distanze per essere distribuiti, con costi ambientali, energetici e di trasporto altissimi. Un prodotto potenzialmente semplice come un premiscelato accumula così un’energia grigia (si veda l’approfondimento nel box a lato) altissima.
Terramia ribalta il paradigma: produce piccoli quantitativi di materiali «su misura» per i clienti. Non genera scarti e realizza premiscelati naturali e di alta qualità. I materiali vengono lavorati e confezionati in loco o quasi, la produzione avviene nel medesimo territorio e la distribuzione è a km scambiato (ovvero avviene sfruttando la rete commerciale già esistente, senza generare nuovo traffico). L’intero stabilimento funziona con meno di 6Kw/h.

QUALSIASI SIA L’IMPRESA O IL PRODOTTO, quando parliamo di Daniela Ducato e del suo team i principi di base sono sempre gli stessi: partire da materiali che siano scarti o eccedenze vegetali, animali o minerali, facilmente recuperabili in loco, lavorarli in maniera naturale, ottenere prodotti utili e ad altissime prestazioni tecniche e infine, al termine del ciclo di vita, restituire sostanze perfettamente biodegradabili o inerti. Questo meccanismo produce una serie di interessanti «effetti collaterali»: nascono simbiosi industriali, le aziende di un territorio instaurano dinamiche collaborative anziché competitive (quelle che l’imprenditrice definisce con un neologismo «multirelazionali»), si condividono conoscenze e competenze.

IL PROCESSO CHE PORTA A QUESTO GENERE di soluzioni innovative non sembra guidato, come spesso avviene, dalla necessità di innovare a tutti i costi. Nasce piuttosto da una rigorosa osservazione della realtà nella sua complessità. Solo quando si individuano delle criticità sistemiche su cui intervenire si passa alla parte inventiva e creativa, in cui sono centrali sinergie e multidisciplinarità. Infine si arriva alla progettazione e realizzazione dei prodotti. Sebbene questi ultimi siano unici in quanti «figli» del contesto in cui sono nati e delle sue esigenze, lo schema sembra relativamente semplice da replicare altrove da chi voglia cimentarsi in esperimenti di economia circolare.

I modelli di economia circolare sembrano essere attualmente l’alternativa più adatta a risolvere i problemi legati a cicli produttivi e rifiuti. Tuttavia spesso vi si fa riferimento in maniera superficiale, immaginando un sistema in cui si cerca di «riciclare il più possibile», senza intervenire a monte sui processi produttivi. Ma in un sistema economico lineare, in cui i prodotti sono progettati per essere fragili e difficili da riparare, gli imballaggi realizzati con centinaia di plastiche e materiali differenti (spesso mischiati fra loro), la raccolta differenziata e il riciclo mostrano già i loro enormi limiti strutturali.

L’ECONOMIA CIRCOLARE, QUELLA VERA, E’ QUALCOSA di molto più complesso: un insieme di processi economici e produttivi che mirano all’equilibrio con le risorse e le dinamiche degli ecosistemi del pianeta. Ridurre l’utilizzo delle risorse, progettare gli oggetti perché siano più durevoli, resistenti e riparabili, ridurre gli imballaggi, rilocalizzare i processi produttivi, introdurre meccanismi di simbiosi industriale, passare dall’uso individuale a quello condiviso di molti prodotti e servizi, ridurre drasticamente la produzione di rifiuti. In altre parole: rendere tutti i processi economici coerenti con l’ecosistema in cui sono inseriti, senza che gli equilibri di quest’ultimo risultino alterati.

Viviamo un’epoca anomala: questo modello socioeconomico ha portato per qualche decennio prosperità economica ad una piccola fetta del genere umano a spese altissime per gli ecosistemi e per la restante parte della popolazione mondiale.

PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA AFFRONTIAMO il superamento dei limiti planetari con effetti drammatici che sono già fra noi, come i cambiamenti climatici, il crollo della biodiversità, l’alterazione dei cicli biogeochimici. In questo contesto esperimenti come quello di Daniela Ducato mostrano che è possibile realizzare sistemi resilienti e collaborativi in cui, senza sottrarre risorse al Pianeta, si crea benessere (economico, fisico, relazionale) per tutti gli attori coinvolti. È necessario – e urgente – scalare questi modelli.

L’Europa sta muovendo i primi passi in questo senso. Nel frattempo, non sarà un caso, la stessa Daniela Ducato ha deciso di dedicarsi a un nuovo progetto: formare centinaia di progettisti e designer.