Ancora una volta, gli iraniani scendono in strada per protestare in tante località diverse e non solo nella capitale Teheran. Ancora una volta, come a fine dicembre 2017 e nel 2018, a spingerli a protestare è il carovita: l’altro ieri le autorità della Repubblica islamica hanno ridotto i sussidi al carburante e – di conseguenza – i prezzi sono lievitati di almeno il 50%.

FINO A VENERDÌ SCORSO gli automobilisti iraniani potevano acquistare un massimo di 250 litri di benzina al prezzo sussidiato di 10mila rial al litro, equivalenti a 8 centesimi di euro. Una cifra irrisoria che non teneva conto dei costi di estrazione e raffinazione. Irrisoria anche a causa della svalutazione della moneta locale e dell’inflazione quadruplicata. Una cifra irrisoria che non ha mai favorito il risparmio energetico.

È vero che l’Iran è tra i maggiori paesi produttori di petrolio, e di recente le autorità hanno annunciato la scoperta di un giacimento con 53 miliardi di barili di oro nero. Ed è normale che gli iraniani pretendano di fare uso dell’energia del proprio sottosuolo a costo zero, o comunque a un costo molto basso. Ma le esportazioni di greggio iraniano sono scese da 2,4 milioni di barili al giorno a meno di 500mila barili. Inoltre, a causa delle sanzioni imposte dagli Stati uniti dopo che l’amministrazione Trump ha deciso di ritirarsi dall’accordo nucleare del 2015, le raffinerie non sono sufficienti a far fronte alle necessità perché mancano i pezzi di ricambio e quindi non funzionano a pieno regime. Sono le entrate dovute al petrolio a permettere al governo di elargire sussidi, un fattore fondamentale dell’economia iraniana: indipendentemente dal proprio reddito, la popolazione può ritirare i buoni agli uffici postali per acquistare una serie di prodotti di base a prezzi agevolati.

ORA, LE NUOVE MISURE introdotte permettono a ogni conducente di acquistare soltanto sessanta litri di benzina al mese al prezzo sussidiato di 15mila rial, equivalenti a quasi 12 centesimi di euro al litro. Dopodiché il prezzo raddoppia. Il denaro che prima andava in sussidi «sarà dirottato in aiuti diretti alle famiglie povere», ha dichiarato il presidente Rohani aggiungendo che «il 75% degli iraniani è sotto pressione» a causa delle sanzioni.
Teatro delle dimostrazioni di ieri sono state, oltre alla capitale Teheran, anche Kermanshah, Isfahan, Tabriz, Karaj, Shiraz, Yazd, Bushehr, Sari e altre cittadine. Segno che il dissenso è diffuso, in una nazione dove tanti impiegati timbrano il cartellino alle cinque del pomeriggio e, per arrotondare lo stipendio, vestono i panni dei tassisti abusivi.

LE MODALITÀ DELLE PROTESTE sono le stesse in tutte le città: i conducenti si immettono nelle arterie trafficate, poi spengono il motore oppure abbandonano le vetture in mezzo alla strada chiedendo alle forze dell’ordine di schierarsi dalla loro parte. A peggiorare la situazione sono i venti centimetri di neve caduti nella capitale e nei paraggi, con un mese di anticipo rispetto al solito.

Finora, nelle proteste è morta una persona nella città di Sirjan, nella provincia centrale di Kerman, dove i dimostranti hanno attaccato un deposito di carburante e hanno cercato di appiccare il fuoco. Un’altra persona è morta nella località di Behbahan, nella provincia sudoccidentale del Khuzestan ricco di petrolio. Tanti i feriti.

Difficile predire l’esito di queste proteste, scatenate da una decisione che il presidente Rohani non ha potuto prendere da solo ma di comune accordo con il leader supremo Ali Khamenei. Di certo l’incapacità della leadership della Repubblica islamica di gestire le questioni economiche, in un paese ricco di risorse, sarà oggetto di dibattito nella campagna per le elezioni presidenziali, previste per il prossimo 21 febbraio.