Sanità territoriale, dal Consiglio di Stato via libera alla riforma ma mancano i livelli minimi di assistenza
Il dm 71 passa ora al vaglio della Corte dei Conti Fp Cgil: «Senza fondi, che per ora non ci sono, i territori saranno costretti a scegliere se fornire meno funzioni o affidarle al privato»
Il dm 71 passa ora al vaglio della Corte dei Conti Fp Cgil: «Senza fondi, che per ora non ci sono, i territori saranno costretti a scegliere se fornire meno funzioni o affidarle al privato»
Dal Consiglio di Stato è arrivato il via libera allo schema di riforma della Sanità territoriale, il dm 71, in attuazione della Misura 6 del Pnrr (7 miliardi di investimenti che, tranne per una parte degli infermieri, non coprono il personale). Parere positivo ma con osservazioni. Il disegno è giudicato «un innovativo modello organizzativo, che prevede la rimodulazione dei servizi e delle prestazioni affinché siano prossimi all’utente fino al domicilio». E ancora: «Una rete assistenziale alternativa all’ospedale accessibile a tutti, contrastando le disparità determinate dai livelli di reddito o dall’area geografica di appartenenza».
D’altro canto, i consiglieri sottolineano la necessità «di distinguere più chiaramente nell’allegato (che dispone gli standard e che costituisce il corpus della riforma) tra le disposizioni aventi natura prescrittiva e quelle con funzione descrittiva». Nel dm 71, ad esempio, la presenza di infermieri h 24 nelle Case di comunità è fortemente consigliata, i consultori e l’attività ai minori facoltativa, le vaccinazioni 0-18 anni e gli screening pure facoltativi. I servizi per la salute mentale, le dipendenze, la neuropsichiatria infantile raccomandati. Mancano quasi tutti gli standard minimi per le assunzioni.
Altro punto critico: «Necessario indicare alle regioni un cronoprogramma per l’adozione degli standard, almeno riguardo agli step essenziali». Dopo il prossimo vaglio della Corte dei conti, le disposizioni del dm 71 avranno attuazione attraverso Contratti integrati di sviluppo da sottoscrivere con ogni singola regione, le prescrizioni a loro volta «dovrebbero essere attuate dalle regioni entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento». Il Consiglio di Stato: «Indispensabile che siano esplicitati almeno alcuni step essenziali circa l’attuazione della riforma e il progressivo raggiungimento degli obiettivi. In mancanza, si potrebbe ritenere che gli standard e i modelli organizzativi debbano essere conseguiti immediatamente senza che, nelle more della loro attuazione, sia possibile riconoscere alle regioni il finanziamento previsto».
La riforma resta fumosa mentre il personale fugge dagli ospedali: «I Pronto soccorso sono prossimi all’implosione – sottolinea la Federazione Cimo-Fesmed – e il 72% dei medici del Servizio sanitario è pronto a lasciare». Andrea Filippi, segretario della Fp Cgil Medici: «Una buona architettura ma alle regioni va chiarito quali profili sono prescrittivi e quindi vincolanti e quali auspicati, è il Consiglio di Stato a dirlo. Prima del 30 giugno sarà necessario stabilire gli standard di funzioni e personale. Ma allora, anche se nel parere non c’è, si pone il tema delle risorse per fare la riforma, che non ci sono. I territori saranno costretti a una scelta: in presenza di risorse scarse (le regioni segnalano che mancano 4,6 miliardi per coprire le spese sostenute in pandemia) saranno previste meno funzioni o saranno affidate al privato convenzionato».
Altro elemento da dirimere è l’organizzazione del lavoro e dei servizi, che passa dalla riforma delle cure primarie: «Per adesso si sta sommando un nuovo pezzo (le case e gli ospedali di comunità) all’esistente senza cambiarlo. Lasciamo l’ospedale e l’organizzazione della medicina generale così come sono ma aggiungendo dei pezzi. Così si creano servizi sconnessi tra loro e si provoca “la guerra dei mondi” tra ospedale e territorio quando, invece, è lo stesso mondo e per funzionare va messo in correlazione. La realtà è che gli operatori ospedalieri stanno affogando. Se viene meno l’emergenza urgenza rischiamo che salti la coesione sociale».
La riforma ospedaliera risale al dm 70 del 2015: prevedeva la riorganizzazione della rete ospedaliera con riduzione posti letto, chiusura e trasformazione dei piccoli ospedali. «Sono arrivate le chiusure – conclude Filippi – senza servizi territoriali forti e stiamo ancora discutendo degli standard di personale. Su questa situazione, che non regge, innestiamo come un corpo estraneo il dm 71 quando dovremmo fare un ragionamento di sistema che unisca i due mondi, fare un piano assunzioni straordinario, eliminare i tetti di spesa per il personale e riorganizzare i servizi sotto lo stesso datore di lavoro pubblico. Stesse tutele e stesse diritti».
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