Salvini ammette la sconfitta e alza bandiera bianca: «Da mesi proponiamo il terzo mandato ma da soli non ce la possiamo fare. Abbiamo il 90% dei partiti contro e in democrazia vincono i numeri». Significa riconoscere di doversi misurare, di qui a un anno, con due problemi enormi e in realtà distinti: Luca Zaia e il Veneto. L’ineleggibilità del governatore non significa infatti di per sé dover ammainare le bandiere leghiste sulla roccaforte ma la sorte del potente presidente uscente è di per sé un rovello. Il leader prova a risolverlo suggerendo un bell’esilio a Strasburgo: «Io un’idea ce l’ho. Zaia ama molto il Veneto e diciamo che sarebbe utile un difensore del Veneto in terra d’Europa». Il governatore rispedisce al mittente, con il quale i rapporti sono al minimo storico, seduta stante: «Sono concentrato a lavorare per i veneti, mi aspettano anni di attività e al mio futuro penso io». Il futuro dovrebbe essere la poltrona di sindaco di Venezia, sempre che Zaia non decida di seguire i consigli dei pasdaran che vorrebbero una lista e un candidato patrocinati dal potentissimo contro la Lega.

Salvini può reggere la defenestrazione del presidente, non la perdita della regione. Ma l’assedio è sempre più stringente e ad averci fatto la bocca non è solo FdI. Il forzista Antonio Tajani rimette in campo l’ex leghista Flavio Tosi: «Può benissimo essere candidato alla presidenza. Vedremo, ne parleremo. Salvini non ha nulla da temere da Forza Italia ma chiediamo lo stesso rispetto che abbiamo noi per gli altri».

Quella del leader azzurro non è solo una boutade. Tosi sarebbe un candidato forte. In via Bellerio l’ipotesi è guardata con allarme e preoccupazione. Ma le possibilità che Tajani vada fino in fondo sono esigue. Giorgia Meloni ci tiene moltissimo a governare una delle tre regioni del nord, e l’unica a portata di mano è proprio il Veneto. Non è facile che accetti di rischiare la rottura con la Lega solo per regalare agli azzurri, che se la destra vincerà in Piemonte saranno già ben piazzati lì con Alberto Cirio, una seconda regione nordica. Ma c’è un’altra e persino più stringente considerazione: candidare Tosi, nemico storico di Zaia, sarebbe come mettere un dito nell’occhio del governatore già furibondo per non poter ambire al quarto mandato. A quel punto la rottura sarebbe non più solo una remota eventualità: diventerebbe una probabilità.

Un Salvini particolarmente arrendevole appare quasi rassegnato anche su un altro fronte caldo: quello dell’autonomia differenziata. L’accordo sarebbe approvarla prima delle elezioni europee ma FdI esita perché teme che la bandierina leghista implichi un salasso di voti al sud, senza contare i tempi necessari per il voto sul premierato in prima lettura che la presidente del consiglio vuole assolutamente appaiato a quello sull’autonomia.

L’autonomia è una riforma epocale e durerà cent’anni, l’importante non è che arrivi il 6 o il 16 giugno ma che arrivi e su questo la maggioranza è compatta», concilia Salvini. Vero, ma bisogna vedere come prenderebbe un rinvio il papà dell’autonomia, Roberto Calderoli, che in questo momento, essendo con Giancarlo Giorgetti l’ultimo esponente della vecchia guardia in campo, ha un ruolo nevralgico.

Senza la bandierina, inoltre, il rischio di un crollo esiziale di voti alle europee aumenterebbe. Certo, ci potrebbe essere la carta Vannaci, sempre che il generale accetti la candidatura, ma quella rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. «Io alle europee voterò per chi ha una storia dentro la Lega», avverte un dirigente storico come il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio. Al nord sono in molti a pensarla come lui. Il generale rischia di sottrarre più voti di quanti ne porta.