Nel film La quercia e i suoi abitanti di Laurent Charbonnier la protagonista è una bicentenaria che vive in Francia vicino a uno specchio d’acqua insieme ad animali di tante specie che la abitano e vi trovano rifugio. Una vera, grande quercia madre. Anche nelle città ci sono tanti alberi secolari e monumentali.

VETERANI SONO POI CHIAMATI gli alberi che hanno raggiunto età notevoli e dimensioni non comuni. E quelli di loro che vivono nei centri abitati – insieme al 50% della popolazione umana mondiale – sono in prima linea nell’offrire molteplici benefici ecosistemici. Ambientali: riduzione dell’inquinamento atmosferico, miglioramento del microclima e del macroclima, rimozione/stoccaggio del carbonio, assorbimento dell’acqua piovana, bellezza del paesaggio, attenuazione dei rumori, conservazione della biodiversità locale, cibo. Sociali: per la salute e il benessere in senso lato. Perfino economici: risparmio energetico in primo luogo; a Worchester negli Usa, l’abbattimento di 30.000 alberi per sradicare il tarlo asiatico aveva fatto aumentare fino al 15% i consumi di aria condizionata.

LA MAGNANIMITA’ DELLA REPUBBLICA arborea, però, a partire dal miracolo della fotosintesi clorofilliana, non viene ricompensata. Lo denuncia da tempo l’agronomo Daniele Zanzi, pioniere dell’arboricoltura italiana, intervenuto al convegno specialistico Voce alle foreste, organizzato a Gualdo Tadino dal gruppo Liberi pensatori a difesa della natura: «E’ una pandemia da fermare, quella degli alberi abbattuti o maltrattati in città, complici interessi e soldi. Un motivo per tagliare c’è sempre. Per la cura e manutenzione, invece, il denaro scarseggia. Ma un grande albero è un bene non sostituibile dal punto di vista ambientale, sostiene tante vite. Più grande è, maggiori i benefici che offre». Eppure, «si continua a dire tanto ne mettiamo di nuovi; e si parla di alberi pericolosi, fine vita. Ma qualcuno si chiede quanti alberi dovremmo piantare per rimpiazzarne davvero uno maturo?»

INSOMMA, 1=1? NO, spiega Marco Dinetti, responsabile ecologia urbana della Lipu: «Quando si parla di fine vita e turnover per gli alberi in città, c’è un’errata trasposizione degli approcci produttivi tipici della gestione forestale. Ma il verde urbano ha obiettivi completamente diversi. E non c’è corrispondenza fra età cronologica di un albero e il suo sviluppo; un individuo secolare può essere in ottima salute». Il 27 ottobre 2022 il Consiglio di Stato ha stabilito che «gli alberi vanno tutelati e non se ne può ordinare l’abbattimento d’urgenza se non si dimostra che è indispensabile per la pubblica incolumità» e che del resto il cosiddetto rischio zero di caduta di un (qualsiasi) albero non esiste. Una guida di qualche anno fa, The benefits of large species trees in urban landscapes: costing, design and management guide, indicava nelle specie grandi il singolo elemento più importante nell’infrastruttura verde urbana. L’Istituto per la bioeconomia (Ibe) – Cnr, e l’università di Pisa si sono chiesti: che cosa succederebbe se i pini venissero sostituiti da tamerici? Ecco alcuni calcoli: la perdita netta di benefici per albero sarebbe del 95,2% quanto alla rimozione annua di PM2,5, del 97,7% quanto alla rimozione annua di NO2, del 94,1% quanto al sequestro annuo di CO2, del 98,9% quanto all’acqua intercettata annualmente e del 94,6% quanto alla produzione annua di ossigeno.

PIANTARE ALBERI NUOVI IN SOSTITUZIONE non è il rimedio universale, precisa Zanzi: «Un albero piantato in città diventa carbon neutral dopo 26-33 anni, il periodo che serve per compensare la CO2 emessa nelle operazioni (vivaio, trasporto, piantumazione, cure). I neoimpianti offrono pochi servizi e hanno un tasso di mortalità più alto. Quale albero rimuove la maggiore quantità di Co2 e sequestra più carbonio? Quello più massivo. Preserviamo i grandi. La rigenerazione urbana non si fa distruggendo individui vitali». L’accumulo di carbonio «aumenta con le dimensioni: va da 4-16 chilogrammi all’anno per piccoli alberi (8-15 cm) a 360 in media per alberi grandi», indica Dinetti citando uno studio del 2013.

FA PARTE DELLA «PROFORESTATION» (il contrario degli «allevamenti» in piantagione) anche la gestione dei grandi alberi: non abbatterli, sottolinea Zanzi, «lasciar loro raggiungere il maggior potenziale a favore della biodiversità e dell’accumulo di carbonio nel legno e nel terreno. Lo sequestrano infatti nel tronco, nei rami e nelle radici. E’ più importante che piantarne di nuovi. E quando si piantano convengono specie di prima grandezza. La dimensione e la crescita sono fattori cruciali entrambi. Anche se un piccolo albero giovane cresce velocemente e uno maturo più lentamente, la performance del giovane albero sarà molto più bassa».

SECONDO UNA SIMULAZIONE DEL 2021, per un albero di 100 anni, diametro di 135 centimetri e altezza 30 metri è di 7 tonnellate lo stoccaggio di carbonio è di 7 tonnellate e il sequestro di carbonio annuo arriva a 198 kg. Se l’albero ha 7 anni, un diametro di 5 centimetri e un’altezza di tre metri, lo stoccaggio è di 0,002 tonnellate e il sequestro massimo di carbonio è di 2 chilogrammi. E’ stato calcolato che gli alberi urbani negli Stati uniti immagazzinano 700 milioni di tonnellate di carbonio e ne rimuovono 80 milioni all’anno. Così, per Daniele Zanzi, «in epoca di cambiamenti climatici, occorre mantenere il numero più alto possibile di alberi maturi e promuoverne la crescita vitale. Altro che fine ciclo». Naturalmente, temperature più elevate e siccità ricorrenti riducono crescita e vitalità degli alberi. Fanno la loro dannosa parte anche insetti e patogeni, specie piantumate non adatte e pratiche scorrette come la capitozzatura.

LA GESTIONE DELLE POTATURE urbane è spesso oggetto di giuste proteste. Come spiega Marco Dinetti, «si può potare per motivi mirati ma non stroncare, vanificando anche i servizi ecosistemici prodotti dalle foglie. Spesso si interviene su un albero ha bisogno e insieme su altri dieci. Da 40 anni si sa che la capitozzatura non va bene, occorre il taglio di ritorno». Gli European Arboricultural Standards chiedono di ridurre al minimo la dimensione delle ferite da potature, di portar via la minore porzione possibile di chioma, di contenere la rimozione fogliare al di sotto del 10%. Anche regolamenti locali del verde lo affermano. E un decreto ministeriale del 2012 per la prevenzione, controllo ed eradicazione del cancro colorato del platano prevede che gli interventi di potatura siano eseguiti «in periodo asciutto durante il riposo vegetativo delle piante evitando, ove possibile, tagli orizzontali e capitozzature». Non succede così. C’è un enorme gap fra teoria e pratica. E poi si parla di piante killer che cadono. Chiarisce il responsabile Lipu: «Gli alberi caduti durante le bufere di vento, si spiegano in genere con cedimenti che sono conseguenza di interventi gestionali impropri e distruttivi, soprattutto le potature drastiche e i danni alle radici (per lavori stradali)». Tredici associazioni nel 2019 hanno proposto al ministero dell’ambiente una legge integrativa alla 10/2013 (Norme per gli spazi verdi urbani), prevedendo oltre al censimento degli alberi e al piano del verde, buone pratiche gestionali e la messa al bando di azioni scorrette (potature drastiche, capitozzature). E ci sono nuove tecniche anche per risolvere senza abbattimenti il problema delle radici affioranti.

ALMENO FINO A LUGLIO, in questi mesi nei quali si concentra la nidificazione, diverse norme possono bloccare potature e abbattimenti. Ma sono disattese con l’incuria e controlli superficiali. Eppure disturbare i nidi è reato penale, a norma della legge 157/1992 che tutela la fauna selvatica. Stanziale e migratoria, spesso ormai si rifugia in città.