«In questi ultimi mesi nel Mediterraneo è stato totalmente smantellato il sistema di soccorso in mare»: è il commento di Medici senza frontiere, che ha un team a bordo della nave Aquarius. Gabriele Eminente è il direttore generale di Msf e spiega: «È un dato di fatto. Il sistema funzionava, adesso è a rischio».

Cosa sta succedendo?
Con la fine della missione Mare nostrum ci furono centinaia di morti così le Ong decisero di impegnarsi in mare. Da allora il sistema dei soccorsi ha funzionato con il coordinamento della Guardia costiera italiana. I porti di attracco sono stati quelli del Mezzogiorno. Il tutto nel rispetto delle norme nazionali e internazionali. Adesso le cose sono cambiate di fatto, pur essendo rimaste in vigore le stesse leggi. E il sistema dei soccorsi non funziona più. Gli ultimi salvataggi dell’Aquarius sono avvenuti nelle acque libiche, abbiamo chiamato il Centro di coordinamento di Tripoli (il Jrcc), ci hanno dato il via libera ma quando si è trattato di indicare il porto sicuro ci hanno detto «non vi possiamo aiutare».

Può un Centro di coordinamento rispondere così?
Sia chiaro, se ci avessero detto di andare a Tripoli avremmo rifiutato perché non riportiamo i migranti dall’inferno da cui scappano. Ma è evidente che, alla prova dei fatti, il Jrcc non funziona. Ogni operazione di salvataggio sta diventando un caso a livello europeo. Durante la navigazione l’Aquarius ha incontrato varie imbarcazioni in difficoltà, ha offerto aiuto al Centro di coordinamento di Tripoli che non aveva sollevato l’allerta. Ormai i salvataggi si fanno in base ai soli avvistamenti. In Italia non si può più sbarcare non perché i porti siano chiusi ma perché le istituzioni si sono adeguate ai diktat e ai post su facebook.

L’Aquarius ha denunciato che i mercantili non prendono più a bordo i naufraghi
È quello che ci hanno raccontato i migranti che abbiamo salvato la scorsa settimana. Almeno cinque navi commerciali li hanno incrociati senza fermarsi. È la conseguenza della politica dei porti chiusi: un pericoloso imbarbarimento. Si tratta di un comportamento che può essere perseguito penalmente, è come assistere a un incidente e non fermarsi a prestare soccorso. Ma deriva dal livello di stress a cui sono stati sottoposte le navi commerciali Vos Thalassa e Alexander Maersk, con naufraghi a bordo e l’impossibilità di sbarcarli nel porto sicuro più vicino. La conseguenza è la violazione di norme di diritto ed etiche antiche come il mondo.

Ma è anche successo che undici naufraghi non siano voluti salire sull’Aquarius
Abbiamo dato loro i giubbotti di sicurezza, acqua e cibo e li abbiamo scortati fino a che non sono stati presi in carico dalla Guardia costiera italiana. È l’altra faccia dell’imbarbarimento, lo stigma che è stato affibbiato alle Ong. Sulle due barche di legno che abbiamo soccorso c’erano migranti subsahariani, gli undici che hanno preferito proseguire erano tunisini, con una situazione di partenza e prospettive differenti. Resta il fatto che ci sono migranti disposti a correre rischi piuttosto che farsi salvare dalle Ong per timore di rimanere bloccati in mare per un tempo indefinito. Si tratta di una situazione potenzialmente molto pericolosa.

In che condizioni sono i naufraghi che salvate?
Subiscono i danni provocati dal viaggio in mare. Tre anni fa partivano su grandi barconi di legno stipati dalla stiva al ponte. L’anno scorso erano sui gommoni: al centro mettevano donne e bambini per proteggerli ma, in realtà, è la parte più pericolosa perché sono mezzi senza chiglia, imbarcano acqua e al centro si forma una conca con acqua di mare e benzina, provocando pesanti ustioni. Adesso sono riprese le partenze sui mezzi di legno ma più piccoli. Poi ci sono i danni fisici e psichici conseguenza delle tappe del viaggio via terra e dai centri di detenzione. Malnutrizione, torture, pestaggi, stupri. Segni indelebili. Molti non riescono a raccontare cos’hanno subito, hanno bisogno di giorni, a volte si sbloccano solo quando toccano terra. Msf ha un team di psicologi che prima accoglieva i migranti agli sbarchi, ha anche un progetto per prendere in carico quelli che non riescono ad avere sostegno dal Sistema sanitario nazionale.

Cosa dovrebbe fare l’Ue?
Varare un dispositivo europeo di soccorso di tipo umanitario e non di controllo o poliziesco.