Con una lettera il democratico Elijah E. Cummings, al vertice del Comitato di sorveglianza della Camera, ha rivelato che Michael Flynn, ex consigliere per la sicurezza nazionale, ha mentito agli investigatori del Pentagono circa i compensi ottenuti da compagnie russe per partecipare ad una cena con Vladimir Putin e funzionari russi nel dicembre 2015.

Flynn parlò di un viaggio da privato cittadino, pagato da «società statunitensi», ma secondo i dossier quel volo è stato finanziato dall’emittente Russia Today, considerata braccio della propaganda russa.

Al contrario di Flynn, che ha deciso di appellarsi al quinto emendamento per non autoincriminarsi in una testimonianza alla commissione di Intelligence della Camera, a testimoniare è l’ex capo della Cia, John Brennan – in prima fila su piazza Majdan nel 2013 ad arringare le opposizioni della destra ucraina – che durante l’audizione ha dichiarato che la Russia ha «interferito senza pudore» nelle presidenziali del 2016 e di aver informato di ciò la presidenza e otto alti esponenti del Congresso. «Telefonai al capo dei servizi russi: “Gli elettori americani saranno furiosi”, gli dissi».

Non solo: Brennan ha rivelato di aver parlato lo scorso agosto con il capo dei servizi segreti russi, per dissuaderli dal tentativo di continuare con le interferenze. Il capo dei servizi segreti russi negò le interferenze di Mosca e assicurò che ne avrebbe parlato con Putin.

Brennan ha aggiunto che la possibilità che alcuni americani stessero cooperando con Mosca suscitò preoccupazioni. E ha concluso: se confermata, la condivisione di informazioni riservate da parte di Trump con il ministro degli esteri Lavrov, sarebbe una violazione dei protocolli di intelligence.

Durante queste testimonianze effettive o mancate, l’amministrazione Trump ha chiesto a Walter Shaub, capo dell’ufficio governativo per l’etica, di ritirare la richiesta di rivelare i nomi degli ex lobbisti che hanno ottenuto un’esenzione per lavorare alla Casa bianca o nelle agenzie federali, contestando l’autorità legale dello stesso ufficio di chiedere tali informazioni. Shaub, a capo dell’agenzia, ha risposto con una lettera durissima rifiutandosi di obbedire.

Questa sfilza di notizie è stata interrotta dalla presentazione del budget 2018, che prevede per le spese non militari un taglio di 57 miliardi, penalizzando programmi sanitari, aiuti alimentari, peacekeeping internazionale, scambi culturali ed educativi e programmi sul cambiamento climatico.

Più di un miliardo andrebbe alla costruzione di un pezzetto di muro col Messico, ma la parte del leone la fa la spesa militare che aumenterà di altri 25 miliardi di dollari nel prossimo anno fiscale. Ora parola al Congresso: c’è aria di battaglia.