«Scrivere è giocare, volevo parlare di come ciò che accade in poche ore può cambiare la vita». L’educazione fisica, il romanzo della scrittrice spagnola Rosario Villajos appena edito da Guanda (pp. 272, euro 19, traduzione di Roberta Arrigoni) racconta la storia di Catalina che a 16 anni, nell’agosto del 1994, deve rientrare a casa dopo essere stata in visita dalla sua amica. Nell’arco di quelle poche ore che la separano dal rientro, la ragazzina percorre una strada lunghissima che la conduce nel viaggio dentro se stessa. «Non avevo mai tenuto un diario da bambina e, nel 2021, il mio terapeuta mi consigliò di scrivere gli episodi che ricordavo della mia adolescenza», dice Villajos, nata a Córdoba nel 1978, che l’anno scorso con L’educazione fisica ha vinto il premio Biblioteca Breve e che oggi lo presenta a Roma, da Tuba (ore 18.30, con Viola Lo Moro e Eva Milella), domani a Torino, al Circolo dei lettori, e sabato a quello di Novara. Infine sarà domenica a Milano per BookPride, alle 11.30 con Greta Sclaunich.

Come è nata l’idea del suo romanzo?
All’inizio si trattava di una sorta di esercizio terapeutico. Ne è venuto fuori quello che chiamo il piccolo catalogo delle umiliazioni: le lezioni di educazione fisica, la sensazione di vulnerabilità di fronte a uomini adulti che mi rimproveravano per strada, che davano giudizi sul mio corpo, il dover essere costantemente preoccupata del mio aspetto per non attirare troppo l’attenzione su di me, il rendersi conto della sottile linea che separa un complimento da un insulto, e così via. Quando ho riletto alcuni di quei passaggi mi sono resa conto di avere del materiale letterario importante, così ho abbandonato quello che stavo scrivendo in quel momento e ho inventato una trama e un protagonista solo per poter scrivere alcune delle cose che erano realmente accadute e che avevo dimenticato fino al momento in cui mi sono seduta a ricordare la mia adolescenza. Mi sono chiesta perché avessi cercato di dimenticare tutto questo e se fossi l’unica, non l’unica a cui erano successe certe cose, mi era chiaro che si trattava di qualcosa di comune nelle donne, ma l’unica a non ripensare a quelle esperienze. La risposta a questa domanda mi viene data dal feedback dei miei lettori.

Descrive due qualità del tempo, quella cronologica e un’altra, più interna, in cui Catalina ripensa ai suoi anni, alla sua adolescenza.
Voglio credere che questo sia un Bildungsroman di quattro ore, ma per questo ho dovuto spiegare da dove viene Catalina, l’infanzia che ha avuto, come è arrivata ad avere la percezione del corpo che ha, e quindi essere in grado di capire il personaggio. Inoltre, il cervello degli adolescenti è piuttosto ossessivo e disordinato allo stesso tempo, capace di uscire dai binari, quindi volevo anche dare la sensazione soffocante di trovarsi in una mente adolescenziale.

La protagonista pensa al suo corpo che cambia, tra vulnerabilità e forza indomita. Pensa alla mitologia e alle sue parabole. Cosa significa diventare una falena?
Diverse cose. La prima è sopravvivere: non è forse quello che le nostre madri, nonne, bisnonne eccetera hanno sempre fatto, per affrontare i problemi delle donne in ogni epoca? La seconda, legata alla dedica del libro, significa lasciare il nido, le credenze e le leggi precedenti per diventare più libere o, almeno, per essere noi stesse.

Gli uomini appaiono (quasi tutti) violenti, ambigui. È un patriarcato evidente, eppure Catalina non è una preda. Ne è cosciente?
È il narratore – il suo corpo, se non altro – a essere consapevole di tutto. Catalina mette semplicemente in discussione il sistema di valori, cosa che fanno gli adolescenti, contestano i loro anziani, il mondo in cui viviamo, e se non ci fossero state le Cataline nel corso della storia, dubito che oggi ci sarebbero donne astronaute, il suffragio femminile o qualcosa di così necessario come l’aborto. Credo che la maggior parte di noi donne, durante l’adolescenza, abbia pensato una volta alle differenze che affrontavamo per il solo fatto di essere donne, ma il numero di umiliazioni è così grande che decidi di non parlarne, di non dargli importanza e di andare avanti come meglio puoi, di ripetere a te stessa (se tua madre non te lo ripete) che il mondo è così e di cercare di conformarti, perché altrimenti la vita diventa insopportabile, in quel risentimento che Catalina ha e che deve lasciarsi alle spalle in sole quattro ore.
Ci saranno donne che diranno di non essersi mai sentite come lei, di non aver sperimentato alcuna differenza rispetto al sesso maschile, ma sarà perché hanno evitato di fermarsi a pensare se conoscono culture in cui i genitali maschili vengono mutilati. Queste donne sono le più vulnerabili, quelle che hanno deciso di cancellare una parte della loro esistenza, di rifiutare di riconoscere la disuguaglianza per puro terrore e di blindarsi (come la madre di Catalina).

L’abuso del padre della sua amica è un episodio che apre il libro. Ma anche se le fosse successo qualcosa di peggio, Catalina non avrebbe potuto parlarne in famiglia. La violenza contro le ragazze e le donne risente del silenzio che la circonda?
Certo. Un esempio è la recente censura da parte di Instagram dell’account della scrittrice Cristina Fallarás, che aveva usato per dare voce alle donne che raccontavano anonimamente casi di abusi. È chiaro che le storie delle donne sono sconvolgenti e per questo si cerca di metterle a tacere, ma se abbiamo fatto qualche progresso è che abbiamo sempre meno paura di parlare.

Lei affronta la questione del consenso, non solo per quanto riguarda gli abusi e le molestie, ma anche nelle relazioni tra coetanei.
La questione del consenso è ancora agli albori. Vedo ancora campagne di sensibilizzazione in cui si pone molta enfasi sull’educazione al consenso, dicendo alle donne di dire sì o no, come se il sesso fosse una sorta di transazione, invece che qualcosa di semplice come imparare a riconoscere se l’altra persona sta godendo, imparare a riconoscere il desiderio dell’altro.
Perché si scopre che anche il desiderio femminile dà fastidio, altrimenti non ci sarebbero barbarie come la mutilazione genitale femminile; è così difficile abolirla che in alcune regioni si sta pensando di medicalizzarla, per evitare almeno la morte delle bambine. Parlare di consenso senza parlare di desiderio è come mettere un cerotto su un mal di testa.

Un altro tema presente è infatti quello del desiderio femminile, che il femminismo e le scrittrici hanno esplorato e stanno esplorando.
Ultimamente ho letto molta letteratura in cui compaiono diverse protagoniste femminili, alcune molto giovani, con un senso della sessualità e del desiderio molto sviluppato. Mi interessava raccontare una storia diversa. Sono cresciuta non nel consenso ma nella paura del desiderio, quindi ho preferito affrontare l’argomento partendo dalla mia ignoranza. Supponiamo che una ragazza non capisca la sua sensualità o la sua identità. Catalina potrebbe essere perfettamente quella che oggi chiameremmo una ragazza con la sindrome di Asperger, una cosa che difficilmente veniva diagnosticata nelle ragazze della mia generazione perché avevano troppe differenze comportamentali rispetto ai ragazzi. Così Catalina, che vorrebbe avere degli amici ma non sa bene come interagire con loro, cerca di capire il desiderio che le manca attraverso il ragionamento e l’imitazione, perché i suoi sentimenti sono molto confusi. Ho evitato di parlare della sindrome nel libro, così come non se ne parlava negli anni Novanta, per concentrarmi sul fatto che ci lasciamo trasportare da una ragazza senza desiderio sessuale che deve affrontare le stesse calamità di una ragazza media. Ora ne parlo qui, perché penso che se questo libro non riuscirà a suscitare l’empatia dei lettori, spero che almeno susciti la loro compassione.

L’educazione fisica è una materia scolastica, il cui professore, piuttosto insulso, è Don Mariano. Ma è anche un allenamento all’età adulta e alla resistenza.
Nelle mie ricerche per scrivere questo romanzo ho scoperto che molte donne avevano avuto un Mariano nelle loro classi, il che dimostra che anche l’istruzione, come la chiesa o la politica, è corrotta. Volevo associare il titolo alla mancanza di educazione corporea delle donne della mia generazione e, allo stesso tempo, fare un cenno all’educazione sentimentale. Dopotutto, Flaubert nel suo romanzo ci racconta le avventure di un giovane adolescente con una donna adulta, mentre io, a braccia aperte, mostro quelle di una ragazza adolescente con diversi uomini, quasi tutti appartenenti all’entourage della protagonista. È così che Catalina impara che, se fino a 16 anni è stata dura, dai 17 in poi le cose possono peggiorare. Si pensi alle relazioni tossiche, ai professori universitari, ai capi di merda.