Quando gli raccontano che Guido Bertolaso ha appena annunciato in conferenza stampa la conferma della sua candidatura da parte di Silvio Berlusconi (richiesta accorata oltretutto: addirittura un «estremo sacrificio») Paolo Romani, capo dei senatori azzurri, è in treno, non in aereo. Però cade dalle nuvole lo stesso. «Ma come? Non erano questi gli accordi», balbetta. Ma più di tanto non può dire, perché che fare adesso non lo sa lui come non lo sa nessuno. Sono in molti gli ufficiali forzisti che reagiscono come Romani.
Perché in effetti proprio non erano questi gli accordi con cui si era chiusa a palazzo Grazioli una delle più tese riunioni dell’Ufficio politico azzurro: tre ore e passa sul filo della spaccatura finale. Da una parte lo stesso Romani e Giovanni Toti, che insistono sul cambio di cavallo: «Non si può andare avanti con geometrie variabili. La coalizione deve essere uguale ovunque». Dall’altra i romani guidati da Antonio Tajani e da Marcello Fiori ma anche la Sicilia di Gianfranco Miccichè: «Non possiamo farci trattare così da Salvini e dalla Meloni, sono stati scorretti. Poi i voti li hanno al nord ma al sud pesano poco».

Si parla di politica ma con la mente ai sondaggi. Bertolaso, che mentre lo stato maggiore discute aspetta in anticamera, oltre l’8% non va. Alfio Marchini sarebbe forte al ballottaggio, perché una parte dell’elettorato di sinistra lo voterebbe. Il problema è che al ballottaggio non ci arriva. Le vestali del cerchio magico, Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi, soffiano sulla fiamma anti Meloni. Di Roma si interessano poco. Del loro potere in quel che resta del partito azzurro moltissimo.

Se si arrivasse a un voto la frattura sarebbe irreparabile. Per evitarla si dà mandato al capo perché nel giro di 48 ore incontri tutti i candidati di destra e veda lui cosa si può fare. Ipocrisia pura. Il mandato re Silvio dentro Forza Italia ce l’ha per definizione sempre. Il valzer diplomatico equivale a chiedergli di trovare la strada meno dolorosa possibile per convergere su Giorgia Meloni.

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Bertolaso mangia la foglia e decide, o forse lo consiglia in questo senso il nuovo nume tutelare Gianfranco Rotondi, di spiazzare tutti anticipando l’esito delle consultazioni a venire. Ma farlo senza avvertire il monarca non si può. Così, nel pranzo che segue la riunione, con seduti a tavola il candidato brocco, il capo smarrito come un pupetto nel bosco e qualche altro boss, l’ex ras della Protezione butta là: «Per oggi ho già fissato una conferenza stampa. Che faccio, disdico o la faccio?». Silvio concede l’alto assenso: «Falla». Chissà se si rende conto che si tratta del semaforo verde per lo sgambetto. Forse sì, e gioca sporco. Ma più probabilmente no, e sarebbe peggio.

Bertolaso interpreta il permesso a modo suo: «Vado avanti con l’appoggio di Forza Italia. Il mandato di Berlusconi è di cercare convergenze su di me. Se mai Silvio dovesse scegliere la Meloni tornerei finalmente in Africa a fare il medico».

«In Africa c’è bisogno di lui», commenta Matteo Salvini quando, nel pieno della kermesse che lancia la candidatura di Giorgia Meloni, gli riferiscono l’infelice battuta. La candidata taglia corto: «Bertolaso al ballottaggio non ci arriva e a me non piace perdere. Le porte per Forza Italia sono aperte, ma non aspettiamo più nessuno». Salvini tende un mignolo: «Il problema di Berlusconi è che ha pessimi consiglieri». Poi mette da parte le buone maniere: «Chi è contro la Meloni aiuta Renzi e chi aiuta Renzi non può stare con la Lega». «Significa che bisognerà ripensare alle alleanze ovunque», fa spiegare poi dai suoi interpreti.

Da palazzo Grazioli, bunker di un re senza più regno, non arrivano reazioni. L’incontro con la coppia vincente che ieri era in piazza non è stato fissato e chissà se mai lo sarà. Alfio Marchini a sacrificarsi per il ronzino sfiancato non ci pensa per niente. Il leader tace, e il silenzio di un ex capo travolto dalla rissa tra fazioni interne, incapace di decidere, alla fine messo di fronte al fatto compiuto da un candidato che pare uscito da un film dei Monty Python, è il segno tangibile di un declino irreversibile.

Nella saga del centrodestra a Roma, ci saranno altre puntate e come finirà è impossibile prevederlo. Ma quel che restava del Berlusconi leader è stato sepolto ieri.