È vero. È stato solo rock’n’roll. E si, è piaciuto. Questo è il riassunto di oltre due ore di show (e forse anche dell’intera carriera lunga sessanta anni), che i Rolling Stones hanno messo in scena allo stadio di San Siro martedì 21 giugno. Il caso ha voluto che, il probabile, ultimo concerto italiano di Richards, Jagger e compagnia cadesse nel giorno della festa della musica. Festa è stata con i due fondatori degli Stones a dirigere un’orchestra composta da sezione fiati, coriste e coristi, basso, batteria e la seconda chitarra di Ronnie Wood. Attorno alle 21.15 le luci dello stadio si sono spente e sui ledwall sono comparse le immagini di Charlie Watts, il batterista-fondatore della band scomparso lo scorso anno. Jagger, parlando in italiano, ha ricordato il compagno di una vita: «Questo è il nostro primo tour senza Charlie, ci manca tantissimo». Jagger e Richards recitano la parte che tutti si aspettano. Mick domina il palco, correndo da una parte all’altra, macina chilometri, canta senza sosta e ci si chiede se è vero che abbia avuto il covid. Keith con il suo sorriso beffardo e quel modo di stare sul palco tutto suo, pare sempre li per caso, ma poi ad ogni tocco di corde succede qualcosa che non si spiega, anche perché la sua chitarra viene valorizzata nel mixaggio. L’assenza di Charlie e l’idea che questo sia l’ultimo tour dopo 60 anni si fa sentire. Si vedrà soprattutto alla fine, con Jagger che salutando le migliaia di persone accorse sembra non voler scendere dal palco.

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LA MISSIONE più ardua, probabilmente, è quella di Steve Jordan che sedendo sull’ingombrante seggiolino di Watts batte il tempo di uno show emozionante. Le canzoni hanno perso, negli anni, qualche bpm ma vengono suonate con una carica e un’intenzione unica, alcuni arrangiamenti mascherano il rallentamento e creano pathos. Street Fighting Man apre il concerto, (I Can’t Get No) Satisfaction lo chiude, in mezzo 17 brani che ripercorrono i 60 anni della band. Il disco «più suonato» della sera è Let it Bleed con Gimme Shelter, You Can’t Always Get What You Want, You Got the Silver e Midnight Rambler che diventa occasione per la band di giocare tra di loro e per Jagger di incalzare il pubblico. Qualche goccia di pioggia cade sul prato, lo staff degli Stones asciuga il palco per evitare scivoloni agli artisti ma il rock’n’roll non si ferma.
A fermarsi, per alcuni lunghi secondi, è la festa durante il primo bis (Gimme Shelter), quando i tre schermi sul palco smettono di riprendere la band e mandano le immagini delle città dell’Ucraina devastate dalla guerra, con tanto di bandiera del paese invaso. Tanti i vip accorsi a vedere il rock’n’roll show degli Stones. Tra questi anche Paolo Maldini, da calciatore aveva già assaporato la magia di San Siro, che forse dopo aver vissuto un concerto dal prato dello stadio che l’ha visto vincere tutto con il Milan capirà che togliere a Milano il Giuseppe Meazza e sostituirlo con altro significa cancellare uno degli ultimi posti magici, nonché iconoci, che la speculazioni della metropoli ha, per ora, risparmiato. E se lo stadio resterà dov’è chissà che in futuro non si potrà godere di un concerto con i giusti volumi, anche ieri sera assolutamente inadatti.