Sembrano lontani anni luce i tempi in cui Sel riusciva a conquistare una centralità politica facendo nominare Laura Boldrini presidente della Camera. Era, quello, non solo il riconoscimento dell’importante lavoro svolto da Boldrini, ma anche il risultato di un partito che aveva un ruolo non marginale nella politica e nella società italiana.

Chissà se la conquista della terza carica istituzionale non abbia influito come una sorta di appagamento inconscio. Di fatto, nell’ultimo periodo, la scarsa capacità di mobilitazione e di progettazione, la contraddittoria presenza sul territorio (a volte istituzionale, con i sindaci, a volte di opposizione, con i movimenti), le frantumazioni della sinistra non tradizionale, la debolezza delle lotte sociali e sindacali, hanno contribuito ad appannare l’immagine di Sinistra Ecologia e Libertà. Un appannamento che senza dubbio ha colpito anche il leader indiscusso, Nichi Vendola, soprattutto dopo il suo coinvolgimento nelle indagini sui disastri ambientali causati dall’inquinamento dell’Ilva di Taranto.

Ma questa fragilità obiettiva avrebbe retto ancora, se non ci fossero state le elezioni europee, con il risultato eclatante che ha regalato al Pd un primato storico. Una vittoria talmente imprevista che ancora oggi molti osservatori non riescono a trovare una spiegazione convincente. Una però sembra la più forte i tutti: il desiderio di milioni di italiani, di sinistra, di centro, di destra di voltare pagina una volta per sempre, rompendo in modo inequivocabile con il passato. E quindi non si può escludere che nella rottura voluta da Gennaro Migliore e qualche altro, ci sia anche questo stesso desiderio: rompere con il passato (Vendola), giocare la partita politica in campo aperto, dare fiducia alla forze fresche, e più giovani, che danno corpo al governo.

E non c’è dubbio che Renzi, grazie alla manna elettorale che gli è caduta addosso come un dono inatteso, oggi eserciti una grande forza d’attrazione. E che il suo governo richiami quel “lasciamolo lavorare”, “non disturbiamo il manovratore”, “vediamo cosa è in grado di fare”, “se fallisce lui è il disastro…” che tanto peso ha avuto nel gonfiare la sirena del “voto utile”. Chiudendo gli occhi sull’alleanza con il centrodestra.

Ma qui è anche la debolezza di una cultura diversa e, se vogliamo usare una parola fuori moda, di alternativa. Perché è fin troppo facile salire sul carro del vincitore, o comunque mettersi sulla sua scia, quanto è difficile dare corpo e obiettivi a quel milione e duecentomila elettori che in due mesi, nonostante tutto, hanno dato fiducia alla Lista Tsipras. E non c’è dubbio che “il caso Spinelli” abbia offerto un buon pretesto all’esodo dei parlamentari di Sel.

Tuttavia, le singole dipartite dovrebbero essere un’avvisaglia e un incitamento. Non bastano più le culture di provenienza, quelle che da Rifondazione in poi hanno cercato di rappresentare una sinistra antiliberista. Non è più a quella rottura del ’91 che dobbiamo volgere lo sguardo, quella storia ha bisogno di ripensarsi dal principio, di rinnovarsi anche profondamente, anche nella leadership e dunque nelle generazioni. Tenendo ferme le tre scelte di fondo già inscritte nell’esperienza di Sel: la sinistra, l’ambiente, la libertà.

E’ evidente quanto nel nostro paese sia negletta la cultura ambientalista, quanto sia evanescente e parolaia una vera, radicale scelta per quello che una volta si sarebbe chiamato un altro modello di sviluppo. Così come è palese l’assenza di una tradizione libertaria e garantista oggi espressa solo da quel che resta del partito radicale. E, da ultimo, ma decisivo per tutto il resto, la difficoltà di ripensare la battaglia sociale in un momento di estrema difficoltà delle forze sindacali e dei soggetti sociali. I nuovi movimenti, determinati dalle ferite della crisi economica, dal rivoluzionamento delle forze produttive, si sono manifestati come hanno potuto e saputo, senza tuttavia trovare uno sbocco, cercando invano un interlocutore politico.

Per cambiare rotta non solo in Europa, per fuggire dall’altra sirena, quella della sterile testimonianza, bisogna misurarsi con una cultura alternativa e di governo (tutt’altra cosa da una pratica ministeriale), bisogna trovare alleanze e indicare una prospettiva. Il Pd è un omnibus a trazione personale, con un probabile approdo presidenzialista, come ha ben chiarito il segretario-presidente parlando di un “Partito della Nazione”.
Alla sua sinistra c’è uno spazio enorme, capace di scatenare l’agorafobia, la paura degli spazi aperti, il disagio di trovarsi in una terra sconosciuta, il timore di non riuscire a controllare la situazione, il desiderio di fuga verso un luogo sicuro. C’è chi pensa di averlo trovato nel Pd, c’è chi vuole restare in mare aperto e faticosamente si ingegna a costruire una nuova bussola. Di sicuro non abbiamo bisogno di replicare vecchie, deleterie abitudini (purtroppo il tafazzismo è sempre in servizio). Abbiamo bisogno di rispondere a grandi sfide con grandi ambizioni, e più umili militanze sociali.