A un mese e mezzo dalle elezioni europee, l’europarlamento ha approvato con 367 voti a favore (161 contrari e 69 astenuti) il nuovo Patto di stabilità e di crescita, cioè la riforma concordata con grandi difficoltà tra Consiglio e eurodeputati il 10 febbraio scorso, sulla base della proposta della Commissione di un anno fa e che entrerà in vigore il 1° gennaio 2025 (ma di cui dovranno già tener conto quest’anno gli stati nella preparazione dei budget per il prossimo anno).

Non era un voto scontato: per i gruppi che si sono espressi contro – Left, Verdi – è il ritorno dell’austerità in Europa, dopo la parentesi obbligata della sospensione dal 2020 al 2023 del vecchio Patto del 1997 già ritoccato nel 2005, a causa della situazione di spesa eccezionale dovuta al Covid e all’impegno a favore dell’Ucraina.

I socialisti hanno ingoiato i limiti posti alla flessibilità del rientro nei parametri, voluti dai “frugali”, Germania in testa. Difatti, anche con la riforma resta il totem del 3% di deficit e del 60% di debito del vecchio Maastricht. La nuova versione, che prevede percorsi di rientro studiati paese per paese su 4 anni estensibili a 7, avrebbe l’intenzione di mantenere un equilibrio per permettere da un lato il risanamento dei conti e dall’altro di evitare il blocco degli investimenti necessari nella transizione climatica, nel digitale e anche nella difesa. Ma per il capogruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, «le nuove regole rappresentano un suicidio economico, ecologico, geopolitico e democratico».

Per i sindacati italiani, francesi, belgi e spagnoli, il nuovo testo obbligherà gli stati «a ridurre il debito rapidamente e in modo non sostenibile economicamente e socialmente». Anche l’Istituto Jacques Delors afferma che «per numerosi stati sarà difficile ottenere il consolidamento delle finanze pubbliche e al tempo stesso realizzare gli investimenti necessari».

Il timore è che un ritorno all’austerità, anche se più “flessibile”, rischi di favorire i nazional-populisti alle prossime europee. Per mettere le mani avanti, gli eurodeputati italiani – in tutti i gruppi, a destra come a sinistra – si sono distinti nel rifiuto del voto a favore. Grande astensione italiana, da parte dei partiti di governo (FdI, Lega, Forza Italia), che al Consiglio europeo dello scorso dicembre e prima all’Ecofin avevano approvato il compromesso raggiunto, che Giorgia Meloni aveva definito «di buon senso», con «regole meno rigide e più realistiche». Astensione anche del Pd e Iv, che ha permesso al commissario Gentiloni di ironizzare: «Abbiamo unito la politica italiana».

Per il Pd, l’astensione «immagino sia dovuta più a ragioni di politica interna», anche se gli europarlamentari spiegano che la motivazione è per lo scarto tra le proposte della Commissione e il giro di vite imposto al testo finale dai “frugali”, malgrado i ritocchi “cosmetici” dell’europarlamento.

Fin dalla nascita del Patto di Stabilità e di crescita, nel 1997, i “frugali” avevano insistito per avere regole vincolanti, per evitare le politiche lassiste del cosiddetto Club Med, cioè i paesi del sud. La Grecia, colta in fallo, ha pagato caro gli scarti. Quest’anno, 10 stati sono in «deficit eccessivo». Anche se, stando alle cifre, il debito dei paesi Ue è in media dell’83% del pil, certo al di sopra del 60% ma in linea con i dati del periodo 2015-19, cioè prima dello scossone del Covid e della guerra in Ucraina. Un risultato di fatto buono, che avrebbe permesso l’accordo su maggiori margini di manovra.

Ma nel corso del negoziato i “frugali” si sono fatti sentire: dal 2028, gli stati in deficit eccessivo avranno l’obbligo di tagliare lo 0,5% e l’obiettivo sarà un passivo dell’1,5% e non più del 3%. La Francia, dove il deficit è stato del 5,5% nel 2023 (154 miliardi) e il debito è al 112% (3mila miliardi), in un braccio di ferro con la Germania ha ottenuto un po’ di souplesse per il 2025-27, per evitare un freno agli investimenti.

Il nuovo Patto impone delle multe ai trasgressori (0,05% del pil l’anno), le sanzioni esistevano anche nel passato ma non sono mai state applicate, malgrado gli scarti dai parametri. Per la Grecia c’è stata invece la cura drastica di austerità.