Era da tempo che non vedevo Rita Borsellino, compagna ed amica che ho avuto la fortuna di accompagnare nelle sue due campagne elettorali, difficili come quasi tutto quello che la sinistra cerca di fare in Sicilia. È ammalata, Rita, e per questo non mi era capitato di incontrarla di recente nei nostri abituali circuiti. Ieri ho approfittato di un passaggio a Palermo per andarla a cercare; e sono contenta di averla trovata bella e intelligente come sempre, intatta la sua straordinaria capacità di comunicare con gli umani, di rendere umana la politica.

L’appuntamento, me lo ha dato in un luogo particolarissimo: il compound dove sono stati eretti speciali villini di estremo lusso, avvolti da oleandri e eucalipti, giardini e piscine. In uno di questi – il più vasto – è vissuto fino al ’93 Salvatore Riina, grazie alla «generosità» di Gaetano Sansone, il palazzinaro proprietario di questa area esclusiva ( e di molte altre analoghe ).

Riina fu preso nel ’93 poco distante da qui, a piazza Leonardo da Vinci . Si faceva chiamare ragionier Bellomo (così era scritto sulla targa di casa), impiegato dell’Anas, e in quel punto transitava tranquillo come ogni mattina, prima di rincasare e riunirsi alla famiglia. Purtroppo – come si sa – i carabinieri che lo arrestarono in strada non ebbero l’idea di percorrere gli altri trecento metri che li separavano dall’abitazione del signor Bellomo. Né nessuno gli suggerì di farlo. Quando venne loro in mente di andarci era passato un mese, la cassaforte era già stata espiantata ed erano stati persino reimbiancati i muri. Peccato!

È in questa assai esclusiva zona residenziale – nel frattempo espropriata come bene mafioso (il signor Gaetano Sansone è finito anche lui in prigione) e in parte affidata al Comune e assegnata alle associazioni – che ha ora sede il «Centro studi, ricerche e documentazione Sicilia-Europa Paolo Borsellino»: via Bernini 52, proprio quella che fu l’abitazione del Sansone.

Il villino, me lo fanno visitare Tonino Palmeri e Francesca Grasta, due militanti dell’Arci, oggi rispettivamente direttore e segretaria del Centro, ed è un giro che consiglio: intatte qui sono ancora le casseforti nascoste, i ricettacoli, tutto quello che uno si aspetta di trovare nella casa di uno dei principali protagonisti della mafia. Oggi in questi locali sono state allestite sale e salette sempre frequentate, soprattutto da giovani, per seguire i tanti programmi messi in opera dal Centro di cui Rita è presidente.

Un luogo, mi spiega, che non vuol essere un monumento di memoria immobile, ma un «covo» democratico, dove si continua a lottare contro la mafia, raccogliendo documentazione, contribuendo alla formazione dei ragazzi, palermitani ma non solo. C’è anche un concorso cui partecipano giovani di tutta Italia, il titolo che deve ispirarli tratto da una frase di Borsellino:«Quel fresco profumo di libertà» (la frase che seguiva, era «che si oppone al puzzo della corruzione»).

Il principale finanziatore delle attività viene da lontano, è la Fondazione Cassa di risparmio di Carpi. E da ancora più lontano, nientemeno che dalla Val Camonica, viene quello che ha consentito l’acquisto di un oggetto prezioso, chiamato «Bibliolapa» (biblio per libri, dal greco; lapa per l’ape nel senso di Apecar, dal palermitano). La macchinetta gira per la città carica di volumi e improvvisa letture in ogni quartiere. Sul fianco, oltre la scritta che indica i donatori nordici, i nomi di Nino e Ida Agostino: poliziotto lui, sua moglie incinta lei, ammazzati tutti e due assieme dalla mafia.

Sotto la pergola della villetta, accomodate su due poltrone di paglia, fra il profumo penetrante della flora siciliana, sembra di stare in villeggiatura. E però torna naturale la politica e il ricordo di quelle avventure elettorali, quando Rita sembrava fosse stata scelta solo perché simbolo, in quanto sorella del giudice ammazzato, fino ad allora farmacista e basta, e invece si rivelò una vera leader politica, nel senso più alto di una parola ormai così bistrattata da essere imbarazzati a pronunciarla.

Cominciò nel 2005, quando vinse, inaspettatamente, le primarie del centrosinistra, dalle quali ci si aspettava che uscisse invece candidato il rettore dell’Università di Catania, Latteri. Fu anche per questo, forse, che Rita non ricevette l’appoggio organizzativo che avrebbe dovuto esserci. Nelle elezioni che seguirono prese in effetti tantissimi voti – il 41,7% – ma fu battuta, sia pure per poco, dalla destra di Cuffaro, poi arrestato a metà legislatura, e anzi – caso raro per un presidente di Regione – addirittura finito in prigione per sette e più anni. (Contro di lei anche l’attuale governatore, Nello Musumeci, candidato allora di Alleanza Nazionale, «vincitore» del 5,27 % ).

Il round elettorale successivo fu quello, sfortunatissimo, di esordio del Pd. La candidata del centrosinistra fu inviata da lontano: Anna Finocchiaro, siciliana ma ormai da tempo impegnata nel Parlamento nazionale. Rita fu scartata senza ragione nonostante i tantissimi voti presi la volta precedente. Vinse il famoso pseudo-autonomista Lombardo, con il 65,3. Finocchiaro si arrestò al 30,4; e ripartì per Roma.

Alle elezioni amministrative del 2012, sulla spinta della società civile, Rita tornò a partecipare alle primarie di centrosinistra per la carica di sindaco di Palermo. Concorrenti, di fatto sostenuti dalla «macchina» del Pd, l’iper renziano Faraone e il giovane Ferrandelli (da allora in permanente transito fra sinistra e destra). Rita perse contro quest’ultimo per una manciata di voti. Un risultato, che fece scoppiare subito lo scandalo per come in quelle primarie erano stati raccolti i voti, fino ad arrivare all’annullamento della votazione del grande degradato quartiere dello Zen. Un pasticcio che rivela quanto profondi erano diventati i mali della politica siciliana.

È a questo punto che Leoluca Orlando, che non aveva partecipato alle primarie, decise (giustamente) di uscire dallo stallo in cui la sinistra era finita presentandosi autonomamente, senza appoggi ufficiali, così diventando nuovamente sindaco della città.

Vorrei ricordare un momento bellissimo di questa triste epopea: all’indomani della sconfitta di Rita contro Cuffaro nel 2006. Il 41,7 % che Rita aveva allora strappato era stato ottenuto soprattutto grazie all’entusiasmo raccolto presso le tante migliaia di studenti e giovani impegnati nel resto del Paese, tornati in quell’occasione per votare con i treni che furono chiamati «Rita Express». Un ritorno per votare che ricordò quello degli emigrati nelle elezioni degli anni ’50, animati dallo slogan utopico: «Tornare per votare, votare per tornare».

La sconfitta, e in particolare per come era avvenuta, aveva lasciato sconcerto. Rita ebbe l’intelligenza di riconvocarli tutti in una sorta di camping-seminario su una collina vicino a Palazzolo Acreide, lontano da Palermo, nei pressi di Siracusa. Per riflettere assieme sull’accaduto e sul da farsi.

Furono due giorni intensi – Rita mi aveva invitato a partecipare – che ricordo con nostalgia. La prassi di ragionare insieme sulle sconfitte è caduta in disuso. E così diventa sempre più difficile tornare a vincere. Rita intende dare al Centro Borsellino proprio un ruolo di riflessione per il futuro.