Rideva Vito Giuseppe Giustino, imprenditore 65enne di Altamura, nella notte del 24 agosto, mentre il centro Italia crollava sotto i colpi del terremoto e morivano 300 persone. Rideva come il suo collega Francesco Piscitelli, sette anni prima, poco dopo il sima che ha devastato L’Aquila.

La parola in maiuscolo – «RIDE» – è contenuta nell’ordinanza del Gip di Rieti con cui è stata formalizzata l’iscrizione nel registro degli indagati di cinque persone per il crollo delle case popolari di Amatrice: 18 morti.

Si tratta di Ottaviano Boni (direttore tecnico della Sogeap Srl, che costruì le palazzine), Luigi Serafini (amministratore unico della stessa società), Franco Aleandre (presidente pro tempore dello Iacp della Provincia di Rieti), Maurizio Scacchi (geometra del Genio Civile di Rieti) e Corrado Tilesi (ex assessore ad Amatrice). Le ipotesi di reato per loro sono di disastro, omicidio colposo e lesioni. Per il pm Rocco Maruotti, quelle palazzine «sarebbero crollate con qualsiasi sisma. I costruttori sono andati a risparmio: è tutta una questione di costi e di profitti».

Giustino, ricostruiscono gli investigatori, rideva al telefono con il geometra della sua stessa ditta, la società cooperativa Internazionale, pensando alle future commesse edilizie. Perché i terremoti vanno e vengono, ma una sola cosa resta sempre uguale: la possibilità di ottenere grandi profitti dalla ricostruzione.

Intanto, undici mesi dopo la scossa che ha demolito il paese, anche gli abitanti di Accumoli cominciano a riavvicinarsi a casa. Ieri mattina le prime famiglie hanno ricevuto le chiavi delle dimore in cui passeranno almeno i prossimi dieci anni. Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti non è trionfale nel suo annuncio, consapevole del fatto che inizialmente si era detto che tutti sarebbero tornati a casa in sei mesi, e c’è voluto quasi il doppio del tempo, in realtà, per cominciare. «La ricostruzione va avanti – ha detto alle agenzie -, ma intanto si torna a vivere qui e questa è la cosa più importante». Vivere magari è una parola grossa, ma almeno così una flebile speranze che questi paesi non vadano a scomparire ancora c’è. Ad Accumoli sono stati così consegnati i primi due lotti (su quattro): 35 casette su 71.

La questione del centro commerciale griffato Nestlè (e pagato dalla Protezione civile) sulla piana di Castelluccio, in Umbria, ha scatenato un’ondata di polemiche e indignazione. I cittadini del piccolo borgo dietro al Vettore si sentono presi per il collo: la ripartenza economica viene affidata a un progetto che rischia di essere molto impattante, nel cuore di un parco nazionale, in una delle zone più suggestive dell’Appennino.

Tra le forze politiche sono quelli del Movimento Cinque Stelle gli unici a cogliere la palla al balzo, con due interrogazioni firmate dalla deputata Patrizia Terzoni e dal senatore Stefano Lucidi: «Vogliamo sapere se davvero il progetto sarà smantellato non appena sarà conclusa la fase di ricostruzione, oppure se, come accade spesso in Italia, ‘abbellirà’ in modo permanente la già disgraziata Castelluccio».