L’apparato militare-industriale dell’Ue si è riunito ieri a Bruxelles nel format Consiglio europeo. I 27 capi di stato e di governo, nel primo giorno del summit, si sono concentrati sulla strada da percorrere per trovare i finanziamenti per il rilancio dell’industria bellica europea, sollecitata dalle minacce di disimpegno Usa in Ucraina e dall’emergenza della progressiva manifestazione di debolezza di Kiev di fronte all’aggressione russa, una situazione «umiliante» per l’Europa, ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

L’obiettivo dei 27 è di individuare fonti di finanziamento supplementari, principalmente al di fuori del budget Ue, sia per rispondere ai bisogni dell’Ucraina sia per l’orizzonte di autonomia strategica europea nell’ambito Nato. A scapito dello stato sociale, ha ammesso Emmanuel Macron, che ha citato la riforma delle pensioni come primo esempio.

AIUTARE L’UCRAINA e al tempo stesso proteggere le economie nazionali, di fronte a un muro di investimenti: difesa, oltre alla transizione climatica e interessi nazionali. Gli stati membri, soprattutto i grandi produttori di armi, intendono mettere dei paletti molto chiari all’eventuale interferenza della Commissione, tanto più che nelle costituzioni di alcuni (Malta, Irlanda) è escluso il riarmo.

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L’Edip (programma europeo per l’industria della difesa) ha un finanziamento di soli 1,5 miliardi, giudicato chiaramente insufficiente per la svolta verso un’economia di guerra, che il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, ha calcolato in almeno 100 miliardi. I 5 miliardi da poco varati per comprare munizioni per l’Ucraina in realtà non sono tutti soldi freschi e gli stati hanno la possibilità di scalare ai rispettivi contributi i finanziamenti bilaterali, una nazionalizzazione degli aiuti.

La Commissione ha incaricato l’ex presidente finlandese Sauli Niinistö, di redigere entro l’autunno un rapporto sulla preparazione dell’Europa alla guerra, dei cittadini alla difesa (l’aggressività di Putin ha spinto la Finlandia, che ha 1300 km di confine con la Russia, a entrare nella Nato, assieme a un altro ex neutro, la Svezia). «Non è più tempo di illusioni, dobbiamo svegliarci», ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che punta alla rielezione alla testa del prossimo esecutivo europeo, dopo il voto del 6-9 giugno.

GERMANIA, DANIMARCA, Svezia, Olanda, Repubblica ceca e Austria (paese neutrale) si oppongono alla soluzione degli Eurobond per la difesa, idea dell’Estonia, che i paesi più indebitati (Grecia, Francia, Italia) invece difendono come boccata di ossigeno per poter investire nel promettente settore. L’ungherese Viktor Orbán blocca l’utilizzazione dei profitti (al 90%) degli averi russi gelati (190 miliardi, che si trovano all’Euroclear in Belgio), una proposta della Commissione ampiamente condivisa dai 27, che potrebbe mettere a disposizione circa 3 miliardi l’anno per comprare armi e munizioni per Kiev.

Un’ipotesi di medio periodo è una riforma degli statuti della Bei, 14 paesi chiedono di sbloccare investimenti diretti nella difesa, senza rispettare il doppio uso – civile e militare. Il settore civile si piega al militare: in Francia è prevista la «collaborazione» tra Edf e il settore militare del Commissariato dell’energia atomica, il gruppo elettrico pubblico produrrà nei suoi due più potenti reattori, alla centrale di Civaux, il trizio utilizzato nelle armi di dissuasione nucleare. Ieri, i paesi “nucleari” si sono riuniti a Bruxelles prima del Consiglio. Era presente anche l’Italia.

Il mondo si riarma (2240 miliardi spesi nel 2023, +9%) e gli europei non intendono restare indietro, come conferma l’ultimo rapporto Sipri (la Germania è al settimo posto mondiale per spesa militare, 55,8 miliardi, la Francia all’ottavo, 53,6 miliardi, Italia undicesima, Spagna tredicesima).

LA FRANCIA HA SOPPIANTATO la Russia come secondo esportatore di armamenti mondiale, dietro agli Usa, ha l’11% del mercato (5 anni fa era al 7,2%), ma Parigi esporta in Europa solo il 10% del totale (e più della metà è coperto dai Rafale comprati dalla Grecia). L’Europa ha praticamente raddoppiato l’import di armi nel periodo 2019-23 sugli anni 2014-18. Il 55% viene dagli Usa, grande vincitore della corsa al riarmo, saliti dal 34 al 42% delle parti di mercato mondiale e dal 35 al 55% come fornitore degli europei.