«L’Italia è a un nuovo capitolo della storia climatica: ondate di calore, alberi sradicati dal vento, chicchi di grandine come palle da tennis e alluvioni. È il capitolo della devastazione, che rende l’azione collettiva indispensabile». Firmato Fridays For Future.
Il movimento per la giustizia climatica ha scelto l’8 settembre, nell’ottantesimo anniversario della firma dell’armistizio e della nascita della Resistenza, per annunciare che la resistenza climatica «partirà il 15 settembre con la giornata di azione globale per il clima e tornerà nelle principali piazze d’Italia con lo sciopero del 6 ottobre». La nota contiene un invito a «tutte le associazioni, i sindacati e i movimenti ad aderire e a partecipare attivamente allo sciopero in ogni città», anche come forma di risposta spontanea al negazionismo del governo.

L’ATTACCO è diretto all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, «che, all’indomani della catastrofe, nega ogni correlazione tra fenomeni estremi e crisi climatica, è un governo negazionista. E per questo inadeguato a indicare risposte per prevenire i peggiori scenari prospettati dalla scienza climatica» sottolinea Giacomo Zattini, 26 anni: è uno dei portavoce del movimento, ha partecipato alle conferenze Onu sul clima Cop26 e Cop27.

«LA PRIMA CAUSA dell’aumento delle temperature, e di conseguenza dei fenomeni climatici estremi, sono i combustibili fossili, su cui l’Italia continua a investire ampiamente», continua la nota del Fridays for Future. «Il nostro paese ha una responsabilità importante nelle politiche di mitigazione mondiali, date le sue emissioni storiche. L’Italia dovrà superare gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Unione europea, riducendo le sue emissioni di gas climalteranti dell’80% entro il 2030 e decarbonizzando totalmente il settore elettrico entro il 2035. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, significa abbandonare immediatamente ogni nuovo investimento in carbone, petrolio e gas. Una linea in controtendenza rispetto al piano Mattei, con il quale il governo vincola il paese al fossile e lo condanna a eventi estremi sempre più frequenti e intensi».

COME DIMOSTRA la vicenda dei rigassificatori o l’atteggiamento da ultras del governo di fronte alla scoperta di ogni nuovo giacimento da parte di Eni, l’Italia non è pronta a dire stop ai combustibili fossili. Ecco perché «la protesta contro gli investimenti fossili è un atto di resistenza: non resteremo a guardare mentre il mondo viene condannato a morire. Possiamo vivere senza combustibili fossili, ma non sopravviveremmo un giorno senza le risorse del pianeta» dice Alessandro Marconi, attivista di Roma. Su tutte l’acqua. Con il movimento che propone alcune soluzioni per tutelarla e garantire maggiori difese naturali ai fenomeni estremi. Si parla di ridurre i consumi, ripristinare gli alvei originari dei fiumi, tutelare e promuovere la salute del suolo, favorire l’assorbimento dell’acqua nel suolo, spingere la forestazione, ripristinare i fondi del Pnrr per il dissesto idrogeologico.

«È SPECULARMENTE emblematico che, con l’attuale governo, si siano inasprite le misure repressive nei confronti di chi oggi manifesta pacificamente e resiste praticando la disobbedienza civile» continua Fff Italia. Resistere, così, è per i giovani anche un modo per non lasciarsi «immobilizzare dall’eco-ansia» dice Ester Barel, ventenne attivista di Fridays for Future Milano: «È il momento di esserci fisicamente, perché la resistenza è un atto fisico, che non si fa stando in casa, ma manifestando insieme nelle piazze e proponendo alternative concrete per tutti e tutte».