Per capire il fenomeno-Renzi, è utile seguire la comunicazione per slogan della sua campagna elettorale, l’uso accorto di alcune parole-chiave, la retorica della Leopolda. E la verità viene a galla.

Con Renzi finisce il berlusconismo?

Renzi l’ha sostenuto esplicitamente. Ma, più che di fronte ad una fine, sembra di essere di fronte ad una rottamazione, e cioè, nel linguaggio di Renzi, la sostituzione della vecchia classe politica con una nuova. C’è discontinuità nei testimonial, più che nei programmi e nei contenuti. Per questo Berlusconi teme Renzi. Come lui è un comunicatore senza contenuti. E proprio questa mancanza di definizione, allarga il potenziale bacino elettorale. Come per l’audience l’insieme più ampio è quello meno definito. Renzi è un comunicatore che, col linguaggio televisivo, potremmo definire generalista, per questo motivo è inclusivo, non esclusivo. Ha una buona parola per tutti.

Che tipo di comunicazione è quella di Renzi?

L’ha detto lui stesso: una comunicazione semplice, basata sul contatto diretto e sull’ovvietà condivisa. Ma c’è un problema, la situazione in cui si trova oggi l’Italia, è la più complessa di sempre. C’è una crisi mondiale che coinvolge soprattutto il nostro paese. E le soluzioni sono tutt’altro che semplici. Tanto che non le ha ancora trovate nessuno. Una comunicazione semplice ed un programma “di consenso”, non hanno la funzione di risolvere i problemi, ma piuttosto di allargare il potenziale elettorato, coagulare maggioranze di destra e di sinistra, vincere le elezioni. Con Renzi si fa evidente il ruolo limitato giocato oggi dalla politica, nei confronti dell’economia che è il livello in cui si prendono le decisioni vere, decisioni che spesso esautorano i singoli stati. Compito della politica non è più guidare l’economia, sulla base di scelte, di principi, di valori. Scopo della politica è creare maggioranze e vincere i vari tipi di elezioni; primarie, amministrative, politiche. Pensiamo al Pd. Rispetto alla sua storia Renzi è un corpo estraneo. Ma anche gli avversari interni al partito stanno lentamente convergendo su di lui, perché Renzi è capace di fare le cose che il Pd non è riuscito fino ad ora a fare: comunicare e coagulare maggioranze.

Renzi è ancora di sinistra?

A questo proposito alla Leopolda è stato fatto un bellissimo ragionamento. Se la sinistra (che rappresenta il cambiamento) non cambia, diventa destra. Quindi la sinistra deve cambiare. Ma, aggiungo io, per cambiare, la sinistra non può che spostarsi a destra. Quindi il destino della sinistra è segnato. O rimane di destra, o cambia per diventare destra. Niente più di questo bellissimo paradosso illustra la natura di quello che Ignacio Ramonet ha battezzato al suo tempo “pensiero unico”, “panseu unique“. Nell’epoca del pensiero unico non ci sono alternative: o così, o così. Renzi non fa mistero di essere un ammiratore di Blair, di quella “terza via” a suo tempo impersonata dai Blair e dai Clinton, che sono, in definitiva, quelli che hanno portato a termine l’architettura dell’attuale sistema economico perfino finanziario.

Perché i suoi seguaci sono imprenditori di successo?

Vale per Renzi l’effetto Berlusconi delle origini. Come i vari Guerra, Farinetti, Baricco, Berlusconi era un imprenditore che si era fatto da sé come tale capace di Fare. Ed il Fare, al di fuori delle ideologie e delle riflessioni che non possono che frenare l’operatività, è il grande mito della politica di oggi, ed è, in particolare, lo slogan di Renzi. C’è crisi. Bisogna rimboccarsi le maniche. I suoi testimonial l’hanno fatto, nel concreto ed ognuno ha avuto successo nel suo campo. Ed arriviamo al nocciolo del problema. Per Renzi la politica non è tanto riflettere sui bisogni della collettività. Ma conferire agli imprenditori più capaci, la possibilità di esprimersi individualmente, senza limitazioni ed in piena libertà. Un vero programma liberista. Non a caso alla Leopolda si è parlato di ripristinare la giustizia sociale attraverso la meritocrazia. Il concetto di meritocrazia non è di sinistra. Dirò di più. Il successo di pochi non si riverserà sul benessere di tutti. Faccio un esempio concreto: Berlusconi. Poiché era ricco, molti credevano che potesse arricchire il paese. In effetti ha moltiplicato il patrimonio personale, ma non mi sembra che abbia arricchito il paese.

Ma Renzi è la nuova Democrazia cristiana?

Direi che è la normale evoluzione di quella “fusione fredda” che ha costituito il Pd. Ognuno voleva vederci quello in cui credeva. La sinistra una forma moderna di sinistra, l’ex Dc il lato operativo dei valori cristiani come carità e solidarietà. Renzi ha un padre democristiano. E ha ideato per Firenze (non so se è già operativo) un cimitero di feti. Oggi, dopo il vituperio del crollo della prima Repubblica, molti vorrebbero vedere rinascere una classe democristiana. Alla democrazia cristiana si riconosce di avere guidato per 50 anni il paese rendendolo economicamente prospero. Anche se il rovescio della medaglia erano i grandi misteri del paese. Apparentemente Renzi è per un’alternanza decisa tra partiti e chiede una legge elettorale uguale a quella per l’elezione a sindaco. Chi sbaglia va casa. Ma, ancora una volta, l’alternanza è tra persone e non tra programmi. Il sindaco è sempre più un’amministratore di condominio. Ed anche la politica si avvicina sempre di più ad una grande assemblea condominiale. Uno scenario in cui si invoca il cambiamento perché, come nel Gattopardo, niente deve cambiare.

Perché si è posta così la Leopolda?

La Leopolda è un meeting all’americana che serve a ricompattare un partito o una corrente politica. Ne ha fatto uso Berlusconi per Forza Italia. E ne hanno fatto uso uomini di sinistra. Ma la Leopolda è più efficace perché è ormai un’istituzione che si ripete nel tempo, E nella psicologia sociale la ripetizione è fondamentale, per fissarsi nella memoria e conferire autorevolezza e credibilità. Renzi, con la Leopolda, riprende uno stile da “presidenziali americane”. E questo si riverbera, positivamente sulla sua immagine.