Oltre che uno statista solo immaginario, Renzi è anche un giocoliere superficiale nel disegno strategico. Il dato di sistema, che il voto siciliano prospetta, rivela infatti che si tratta di un politico dell’azzardo, incapace di abbozzare una attendibile lettura della realtà. Ha imposto la nuova legge elettorale con voti di fiducia, con forzature regolamentari. Senza sensibilità istituzionale, ha indotto i custodi della Costituzione a scelte controverse, confidando di trarre un vantaggio dalla legge elettorale, quale unico argine ai populismi.

E invece, con le sue ruvide tecniche elettorali, consegna il sistema politico proprio alla sacra del populismo che culmina nel duello tra destre coalizzate e M5S.
Entrambi i protagonisti del prossimo scontro di primavera possono ringraziare l’autorottamatore del Pd.

IL SUO DISEGNO era di annichilire il M5S assunto come punto debole del tripolarismo asimmetrico, per via della riluttanza a stipulare alleanze. E invece la prova di forza irresponsabile, che ha umiliato il parlamento costringendolo al voto di fiducia in entrambi i suoi rami, ha restituito vigore etico-politico ai grillini, che si presentano agli elettori come una forza della lealtà costituzionale minacciata dall’abuso di potere di chi intende sotto-rappresentarli con illeciti trattamenti di immunizzazione.

COME FORMAZIONE un tempo antisistema che gridava “tutti a casa” il M5S appariva in difficoltà perché l’apprendistato dei suoi amministratori scadeva nel grottesco e il non-partito, ormai inserito negli ingranaggi del potere normale, aveva smarrito la carica eversiva originaria (non riesce per questo in Sicilia e a Ostia a incidere nello scivolamento verso l’astensionismo di massa). Grazie alla insana volontà di potenza che spinge il Pd a fare violenza alle istituzioni, il M5S può invece rivendicare una estraneità rispetto ai giochi pericolosi di un potere che cerca con mezzi manipolativi di emarginarlo in quando formazione scomoda.

IL PRINCIPALE beneficiario della trovata dello sprovveduto statista di Rignano è però il raggruppamento della destra. Da Renzi ha ottenuto in dono l’arma più preziosa in un sistema altamente frammentato: la possibilità di ricorrere alla coalizione fasulla che non richiede la condivisione reale di un programma e consente di stipulare alleanze del tutto insincere per raccogliere i voti nei collegi e poi scappare. Percependo l’odore della frittata, che spalanca i palazzi del potere a Salvini e Meloni, il ministro Franceschini non ha di meglio che suggerire al defunto centrosinistra che copiare la destra per mettersi tutti insieme solo per una finzione scenica e poi continuare a scontrarsi senza inibizioni.

INCAPACE di liberarsi di un leader del “si perde” sempre, il Pd si dedica a giochini senza senso. Fallita la strategia dello sfondamento al centro, in una caccia grossa ai moderati orfani del cavaliere, il Pd precipita in una terza posizione nella raccolta dei voti che lo rende scarsamente competitivo. Non solo non potrà accennare al ricatto del voto utile, ma anche l’ipotesi di giocare in aula, dopo il voto, un ruolo centrale per la definizione di una grande coalizione con il cavaliere si rivela del tutto irrealistica. La destra, con la nuova tecnica di voto, può aspirare alla conquista di una maggioranza autosufficiente.

DINANZI AL BARATRO della sicura sconfitta, il Pd è un non-partito disarmato che non ha l’autonomia e la forza per strappare a Renzi l’unica arma che intende brandire: in virtù delle liste bloccate, egli intende avvalersi del potere di nomina dei candidati per conservare un esiguo seguito personale con il quale dedicarsi alle manovre parlamentari. E’ una logica estrema di personalizzazione-privatizzazione del potere che sfugge a considerazioni politiche, e non lascia altra alternativa al Pd che quella della distruzione-annichilimento come unica soluzione al fattore Renzi.

A SINISTRA del Pd deve proseguire con coerenza il difficile lavoro per ricostruire una soggettività nuova che restituisca visibilità a uno spazio ideale e sociale che pare tramontato. Le condizioni per l’impresa non sono favorevoli, i rischi di fallimento non vanno nascosti. E però non ci sono alternative alla lotta autonoma per ritrovare lo spazio ideale e sociale di una sinistra che tra le macerie lavora per una risposta non regressiva alla crisi della democrazia repubblicana. La lista unitaria deve rivendicare la coerenza di una proposta radicale che non accetta la confusionaria e dannosa offerta di mettersi tutti insieme per ingannare i cittadini e poi riprendere la rissa. La sinistra scegliendo la strada dell’autonomia deve puntare a ricostruire una cultura, un’organizzazione, un radicamento sociale per rispondere come forza pronta alla crisi irreversibile del Pd.