Il co-presidente Hdp Selahattin Demirtas, il vice presidente Dbp Sebahat Tuncel e il parlamentare Abdullah Zeydan hanno iniziato oggi lo sciopero della fame, in segno di protesta contro le condizioni di detenzione della prigione di Edirne, nel nord della Turchia.

La parlamentare Hdp Besime Konca è invece in sciopero già da sei giorni. I deputati Meral Bestas, Ayhan Bilgen and Nihat Akdogan hanno annunciato la propria adesione allo sciopero per 5 giorni a partire dal primo aprile.

«Tutti i carcerati hanno diritto ad un trattamento umano, nel corso della detenzione», hanno dichiarato i rappresentanti Hdp che protestano contro il comportamento assunto dal direttore della prigione, privo di qualunque volontà di dialogo e caratterizzato da pratiche illegali.

«Come membri del parlamento, non abbiamo alcun tipo di richiesta personale. Diamo inizio a questo sciopero della fame per attirare l’attenzione sui moltissimi scioperi già in corso, per ricordare al Ministero della Giustizia quali siano le sue responsabilità e in particolare per opporci alle pratiche arbitrarie del direttore della prigione di Edirne». L’annuncio è stato accompagnato da un appello al pubblico, affinché venga data solidarietà all’iniziativa.

Secondo il portale Bianet, ad oggi scioperi della fame sono stati lanciati nell’ospedale penitenziario di Sakran di Smirne (33 prigionieri, 44 giorni), nella prigione di Edirne (16 prigionieri, 34 giorni), nella prigione di Van (8 prigionieri, 23 giorni) e nel carcere femminile di Sincan (7 prigioniere, 36 giorni).

Il deputato Hdp a Smirne Ertugrul Kurkcu ed i rappresentanti di alcune organizzazioni di avvocati si sono recati alla prigione di Sakran. Gli avvocati hanno rilasciato un comunicato secondo cui le donne in carcere, in particolare quelle in gravidanza, starebbero soffrendo per le misure adottate dall’amministrazione, tra cui la proibizione ad essere visitate da un medico.

Sebahat Tuncel ha spiegato: «Scioperi senza scadenza sono stati lanciati per protestare contro l’isolamento in cui è tenuto Ocalan, per chiedere il ritorno al tavolo negoziale e contro le violazioni dei diritti, che nelle prigioni hanno raggiunto livelli critici. È fondamentale raccogliere il sostegno delle organizzazioni per i diritti umani, dei partiti politici e della gente, affinché attraverso la democrazia sia data soddisfazione a questa richiesta».

Le richieste che gli scioperanti hanno avanzato riguardano anche l’interruzione della distruzione delle città e dei villaggi nel sudest del paese, operati dall’esercito turco nel corso delle operazioni militari contro la guerriglia del Pkk.

Demirtas è in carcere dal 4 novembre scorso insieme alla co-presidente Figen Yuksekdag e altri 11 parlamentari Hdp: è accusato di adesione alla guerriglia autonomista del Pkk e propaganda in suo favore; accuse rigettate, per le quali rischia decenni di carcere.

A monte sta una precisa strategia governativa in vista del referendum del 16 aprile sulla riforma che introduce il sistema presidenziale: l’arresto dei leader del fronte di opposizione accanto alla detenzione di migliaia di sostenitori e membri dell’Hdp stanno indebolendo la base del partito e la capacità di fare campagna elettorale per il no.

«Le persone devono sapere quel che sta accadendo – ha dichiarato il portavoce Hdp Osman Baydemir – Il governo dell’Akp ha intensificato la repressione per fermare le nostre attività e paralizzare il partito». La canzone della campagna elettorale Hdp, intitolata «Dì no» della cantante curda Seyda Perincek, è stata messa al bando dal governatore di Sirnak per incitamento all’odio.

Secondo le autorità, la canzone violerebbe l’articolo 216 del codice penale e sarebbe contraria alla costituzione, alimenterebbe l’ostilità tra la gente e «causerebbe indignazione in un ambiente pacifico e fiducioso come quello di Sirnak, sul confine meridionale».

Due lavoratrici al caffè dell’università Katip Celebi di Smirne sono invece state licenziate dopo aver pubblicato una foto in sostegno al No al referendum. Zeynep Güler, una delle lavoratrici, ha dichiarato che il datore di lavoro le avrebbe rivelato di non poter fare nulla per aiutarla, visto che la decisione sarebbe arrivata direttamente dalla presidenza dell’università.