Parte ufficialmente col primo dibattito elettorale fra i repubblicani, il calendario delle primarie presidenziali che culminerà il prossimo giugno con la selezione dei candidati che si affronteranno per la presidenza Usa. In realtà sul palco del palasport di Cleveland stanotte (alle 3 italiane), saliranno 10 dei ben 17 pretendenti attualmente in lizza per la nomination del partito conservatore. I dieci che potranno presentarsi agli elettori nella diretta in prima serata sono stati scelti in base a una graduatoria di sondaggi da parte della Fox News, l’emittente conservatrice che da anni articola l’agenda politica di destra e che ha assunto così apertamente il ruolo di “produttrice” elettorale. Il fatto ha suscitato non poche polemiche, non ultime da parte dei sette che si dovranno accontentare di un dibattito “di consolazione” trasmesso in fascia pomeridiana.

Fra questi ultimi Lindsey Graham il veterano senatore e falco del South Carolina; Rick Perry, l’ex governatore del Texas e Carly Fiorina ex DG della Hewlett Packard e unica donna fra i pretendenti GOP. Gli altri concorrenti di serie “B” sono il governatore della Louisiana Bobby Jindal, l’italoamericano teocon Rick Santorum, George Pataki il moderato governatore del New York e l’ultimo arrivato, in ordine di tempo e di gradimento, Jim Gilmore, ex governatore del Virginia.

Jeb Bush con Ben Carson e altri candidati ieri nel New Hampshire
Jeb Bush con Ben Carson e altri candidati ieri nel New Hampshire

Una volta concluso il «numero di apertura», prenderanno posto i presunti favoriti: Jeb Bush, Scott Walker, Mike Huckabee, Ben Carson, Marco Rubio, Rand Paul, Ted Cruz e Chris Christie. Fa testo a parte Donald Trump il magnate immobiliare di New York che sta impostando una campagna populista da outsider. Figura gossip-mediatica, titolare di un reality show, più di casa sulla copertine dei rotocalchi che nelle pagine editoriali, Trump è una figura post-politica che definiremmo di stampo “italico”, uno che coniuga la retorica del miliardario super partes di Silvio Berlusconi e il populismo viscerale di Salvini, Nell’annunciare la candidatura si è lasciato andare ad apprezzamenti razzisti sui «messicani violentatori» che invadono gli Usa dal sud. Poco dopo ha rincarato la dose nientemeno che contro un decano dello suo stesso partito, valutando che John McCain sarebbe stato più valoroso in Vietnam se non si fosse lasciato catturare dai Vietcong (riamanendo prigioniero di guerra per tre anni).

Incredibilmente – o forse prevedibilmente – le esternazioni di Trump hanno catapultato il disinvolto oligarca al primo posto dei sondaggi, obbligando il resto dei candidati a prenderlo in considerazione. Una misura dell’attuale sbando del campo conservatore che si presenta alla linea di partenza con una assetto da reality tv, inducendo anche commentatori di destra a lamentare una mancanza di direttiva politica da parte della direzione del partito. Lance Priebus, capo del comitato centrale Rnc (Republican national committee) ha sostenuto che la schiera di pretendenti offrirà una scelta senza precedenti agli elettori.

In realtà è probabile che un contesto così ingolfato di candidati destinati ad autoeliminarsi crei confusione, disperda consensi e trasmetta l’immagine di un partito in crisi di identità – così come lo sta facendo l’inefficacia della opposizione repubblicana a Obama pur in un momento in cui controlla entrambe le camere del congresso.