«Sotto le macerie abbiamo trovato bambini, donne, uomini. Il raid aereo li ha colpiti mentre dormivano». Ahmed al-Shamiri, residente nel quartiere di al-Raqas a Sana’a, all’Afp racconta i momenti subito successivi a uno degli 11 bombardamenti sauditi che ieri hanno colpito la capitale yemenita.

Il bilancio è 52 feriti e sei morti, tutti civili, membri della stessa famiglia. Quattro erano bambini. «Non ci sono target militari qui», denuncia la giornalista yemenita Afrah Nasser. «Il numero dei morti salirà – avverte un altro reporter, Nasser Arrabyee – I medici stanno ricevendo molti feriti».

Riyadh dà una «giustificazione»: rappresaglia per l’attacco al principale oleodotto saudita (collega l’est all’ovest, con una portata di cinque milioni di barili di petrolio al giorno) che i ribelli Houthi hanno compiuto – e rivendicato – martedì con due droni. Ieri il vice ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, accusava l’Iran di esserne il mandante.

Ma Sana’a non è stato il solo target: nelle stesse ore i caccia dei Saud hanno realizzato altri otto raid nelle porzioni di territorio controllate dal movimento Ansar Allah, braccio politico degli Houthi. Il tutto a meno di 24 ore dal ritiro dei ribelli dalla città portuale di Hodeidah e dagli scali di Saleef e Ras Isa, sul Mar Rosso. Ad annunciarlo, mercoledì, è stato il comandante della missione Onu, Michael Lollesgaard, che venerdì scorso aveva reso nota la decisione unilaterale del movimento.

Un atto di buona volontà per facilitare il dialogo con il governo filo-saudita: la consegna della gestione dei porti alla Guardia costiera, con l’Onu a far da supervisore. Il governo, però, non apprezza: la Guardia costiera, dice, è troppo vicina agli Houthi. Più felici i 600mila residenti di Hodeidah, da mesi teatro della battaglia: ora sperano in una tregua vera.