«L’arrivo dei soldati italiani? Per il nostro lavoro cambierà poco. Il Niger è un Paese dove certo le presenze militari non mancano, ci sono gli americani, i francesi e anche altri. Come Nazioni unite per noi l’importante è mantenere la nostra neutralità e indipendenza». Alessandra Morelli risponde da Niamey, dove si trova per coordinare l’intervento dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) nel Paese del Sahel.

Alle spalle una lunga esperienza internazionale che in 26 anni l’ha portata a seguri operazioni umanitarie e a fornire assistenza ai rifugiati in mezzo mondo, dall’ex Jugoslavia al Ruanda, dal Guatemala all’Afghanistan, alla Birmania, solo per citare alcune delle crisi internazionali in cui si è trovata a operare. Tra le ultime esperienze, nel 2015 ha coordinato l’emergenza profughi in Grecia, quando più di un milione di persone attraversarono il Paese fuggendo da guerre e violenze. «Il Niger è un Paese poverissimo, eppure ha saputo aprirsi mentre il mondo si chiude», dice oggi.

Morelli quante persone assiste l’Unhcr in Niger?

Lavoriamo su più situazioni distinte. La prima riguarda l’accoglienza di chi fugge dalle violenze di Boko Haram in Nigeria: sono 108.470 rifugiati che ospitiamo a Diffa, un’area nella zona Sud del Niger, ai confini con la Nigeria del nord. Nella stessa zona assistiamo anche più di 130 mila sfollati interni, nigerini vittime anche loro delle incursioni di Boko Haram. Movimenti forzati che il Niger accoglie con grande generosità. Poi abbiamo 57.405 rifugiati maliani, conseguenza dell’instabilità esistente nel nord del Mali colpito dal terrorismo jihadista legato anche ad al-Qaeda nel Maghreb e che ha costretto gran parte della popolazione di quella zona a fuggire in Niger. All’interno di queste tre situazioni abbiamo nella zona di Agadez, quindi addentrandosi verso la Libia, un flusso di migrazione mista dove lavoriamo per individuare chi ha bisogno di protezione internazionale. Infine ci sono le evacuazioni effettuate su base di emergenza umanitaria da Tripoli su Niamey delle persone che vengono liberate dai centri di detenzione in Libia. Siamo arrivati ormai al terzo volo per un totale di quasi 225 persone, delle quali 25 già reinsediate in Francia, Paese che ora sta assumendo una leadership importante di offerte quota. La maggior parte di questi rifugiati sotto mandato Unhcr sono eritrei, ma abbiamo con noi anche 106 minori non accompagnati. Bisogna ringraziare il governo nigerino per quello che sta facendo per queste persone. Stiamo parlando di un Paese poverissimo che però fa accoglienza e si mostra solidale. Per molti migranti evacuati dalla Libia il Niger rappresenta un ponte verso una nuova vita di libertà e di riconquista della propria identità dopo la detenzione subìta in Libia.

Fino a un anno fa Agadez era uno snodo importante le carovane di migranti che cercavo di raggiungere la Libia. La nuova legge sull’immigrazione nigerina e l’aumento dei controlli ha costretto i migranti a cercare nuove strade. Com’è oggi la situazione?

Agadez resta ancora una zona di forte concentrazione dei flussi migratori di persone, la maggior parte delle quali cerca un futuro migliore. Noi abbiamo il compito di identificare chi ha bisogno di protezione internazionale. Da quando il governo nigerino ha varato la nuova legge contro l’immigrazione irregolare possiamo dire che ad Agadez la vita si è fatta molto più sotterranea, si sono creati dei ghetti dove la gente vive in condizioni molto difficili. Con le comunità e i sindaci monitoriamo le rotte alternative cercando di far arrivare il messaggio che chi ha bisogno di protezione internazionale può rivolgersi a noi. In questo modo c’è una forte presenza d sudanesi originari del Darfur, anch’essi tornati indietro dalla Libia.

In questa situazione cosa potrebbe comportare la presenza dei soldati italiani?

Posso solo dire che come Nazioni unite non possiamo non notare che il Niger  è  uno dei Paesi più militarizzati d’Africa, se non il più militarizzato. Ben prima di quella italiana ci sono altre presenze militari sul territorio, a partire da quella statunitense. Ad Agadez si sta costruendo la base americana più grande d’Africa, la presenza francese è conosciuta da molti anni e così quella di altre nazioni. Come Onu la riflessione che in questi giorni stiamo facendo è come posizionarci con il nostro lavoro e, all’interno di questo spiegamento di forze internazionali, continuare ad assicurare la nostra neutralità e indipendenza.